Il testo riprende parti dell’introduzione al volume:
GIORGIO DELLE DONNE, Cinque pezzi facili sull’Alto Adige/Suedtirol.
Le radici del fortuito, fortunoso e fortunato disagio e declino degli italiani dell’Alto Adige,
con introduzioni di M. Boato, L. Menapace, P. Renner, L. Spagnolli, A. Stenico,
Bolzano – Merano, Centro di cultura dell’Alto Adige – Alpha Beta, 2015,
ed e’ una anticipazione dell’articolo che sara’ pubblicato in: «Il Cristallo. Rassegna di varia umanita’», LVIII, 2016, n. 1, Bolzano, Centro di cultura dell’Alto Adige, aprile 2016.
Cir-Convenzione di incapace1
Un’analisi ed una proposta
Anche la presenza sempre piu’ massiccia di popolazione di origine straniera, soprattutto nella citta’ di Bolzano, ha modificato la realta’ sociale e la percezione reciproca dei tre gruppi che storicamente abitano il territorio. Questi una volta evidenziavano le differenze tra loro, mentre ora evidenziano le analogie tra loro e le differenze socioculturali con gli immigrati. Gli altoatesini, considerati e trattati per decenni come gli ultimi, lo Staatsvolk da disprezzare come lo Stato che ne ha causato la presenza, improvvisamente si sentono i penultimi nella scala sociale e questo li gratifica, non rendendosi conto che gli immigrati sono spesso piu’ abili nello sfruttare le risorse del welfare locale e piu’ veloci nell’apprendere le lingue straniere, perche’ consapevoli di essersi trasferiti all’estero, mentre gli altoatesini, soprattutto quelli delle generazioni piu’ anziane e dei livelli socioculturali piu’ bassi, ignoravano la realta’ locale nei suoi aspetti storici, geografici e culturali, a volte anche disprezzandola in seguito alla diffusione ed al successo dell’ideologia nazionalista, prima e dopo la fine del fascismo, autoghettizzandosi – oltre che ghettizzati dal partito etnico localmente dominante – ed autocompiacendosi nel “disagio degli italiani” che alla fine dei conti e’ stato decisamente fortunato.
Il “fortunato disagio degli italiani” e’ un ossimoro che richiama l’attenzione sul fatto che la consapevolezza di avere perso quasi completamente il potere, ma anche gran parte della dignita’ politica e sociale, ha portato gli altoatesini a votare per protesta partiti antiautonomisti e nazionalisti per quasi trent’anni. Durante questo periodo si confrontavano con la popolazione sudtirolese che all’epoca e’ riuscita a riprendersi, con gli interessi, il potere precedentemente sottratto dallo Stato italiano nella forma fascista ed in quella democratica. Ora che si confrontano con i loro amici e parenti che “vivono in Italia” le scelte elettorali sono maggiormente orientate verso l’astensionismo o il voto per la SVP o per i partiti italiani locali scelti da quest’ultima.
Gli altoatesini sono passati da una forma di resistenza – spesso caratterizzata da forme di nazionalismo – all’autonomia ed alla sua teutonica ed etnica applicazione a forme di resilienza. Mentre la resistenza spesso si caratterizza con forme di rigida fissita’, la resilienza e’ la capacita’ di un sistema, anche sociale, di sfuggire ad un livello irreversibile di degrado in forma elastica, non rigida, di adattarsi elasticamente per non spezzarsi. Per difendersi dalla politica attuata dalla SVP, dai partner italiani scelti da questo partito a rappresentarli e a farne i commissari liquidatori, e da tutti quei personaggi pubblici – non solamente politici, ma anche giornalisti poco free e per nulla lance, ed intellettuali embedded – che sono o vorrebbero essere cooptati al maso dove si mangia e si beve sempre abbondantemente, proponendo un’immagine idilliaca della realta’ locale come se fosse ad Un passo dal cielo.
Questa situazione non e’ conseguenza di un disegno politico, ma di situazioni fortuite e fortunose che hanno determinato alla fine una situazione fortunata proprio perche’ gli altoatesini non contano piu’ nulla sul piano politico. E tutto sommato – a parte la pari dignita’ dei gruppi e delle culture che dovrebbe essere un obiettivo comune nei territori dove vivono da oltre un secolo popolazioni diverse, se l’autonomia fosse gestita in maniera democratica, progressiva e territoriale – anche se non e’ giusto e’ meglio cosi’.
Ma rimane sempre di attualita’ l’affermazione del Commissario generale civile della Venezia tridentina – destituito dalla carica dai fascisti nell’Ottobre del 1922 perche’ ritenuto troppo rispettoso della popolazione sudtirolese -, il deputato radicale, docente universitario di pedagogia formatosi in Germania ed ex ministro della pubblica istruzione Luigi Credaro, che, in una lettera scritta al leader socialista Filippo Turati l’11 agosto 1920, scriveva:
“(…) Se tu, prima di giudicare, fossi arrivato qui a sentire i socialisti ufficiali tirolesi e gli Italiani dell’Alto Adige, forse saresti venuto a questa conclusione: che si puo’ discutere se si debba rimanere nel Tirolo Meridionale, ma se vi si deve rimanere, piu’ coglionescamente di cosi’ non si potrebbe governare.”
Per finire un’umile proposta di discussione alla Convenzione, affinche’ non si trasformi nell’ennesima circonvenzione di incapace, politicamente parlando.
Perche’ non proporre che al governo locale, in Provincia e nei pochi comuni dove gli altoatesini esprimono ancora almeno due consiglieri, non debbano andarci i politici altoatesini piu’ votati?
Certamente c’e’ il rischio che pur di andare in giunta a mangiare le briciole generosamente concesse (la cultura e la scuola italiana, che ai sudtirolesi non interessa politicamente, e quindi puo’ essere per ora ancora gestita dai rappresentanti politici degli altoatesini) si veda in futuro una gara a chi urla di piu’, ma la situazione vissuta negli ultimi trent’anni e’ stata una sorta di gara a chi ha chiesto di meno.
Per prevenire le scontate critiche di chi ritiene questa proposta foriera di ulteriori tensioni etniche, ricordo che sono da sempre impegnato in iniziative culturali e politiche di altoatesini autonomisti e di movimenti interetnici.
Ma provate ad immaginare cosa farebbero i partiti del Centrosinistra italico virtualmente interetnico se fossero loro i piu’ votati da trent’anni, e la SVP scegliesse la destra come partner di giunta.
A chi dice giustamente che i sentimenti nazionali non sono degli elementi biologici ma delle costruzioni culturali, ricordo l’importanza politica e sociale di tali costruzioni, soprattutto tra la gente povera materialmente e culturalmente, e l’importanza di capire come sono state costruite queste identita’ e di come potrebbero essere trasformate con progetti politici e culturali concreti e non con ipocriti appelli retorici alla convivenza che non risultano meno fastidiosi della retorica nazionalista. A chi cinicamente ricorda che ormai le identita’ etniche sono uno dei possibili criteri di spartizione delle risorse ricordo che non spetta ad uno degli attori sociali, quello localmente dominante, nominare il rappresentante dell’altro gruppo nei luoghi decisionali, pena la sensazione per gli appartenenti all’altro gruppo di sentirsi esclusi dal gioco.
La sicurezza e la pari dignita’ dei gruppi costituiscono il presupposto e non la conseguenza della convivenza e per superare giustamente la spartizione etnica del potere e passare dall’autonomia etnica a quella territoriale bisognerebbe prima arrivarci realmente.
Bolzano, 5 aprile 2016.
Giorgio Delle Donne
1 Editoriale pubblicato sull’«Alto Adige» il 13 aprile 2016.