«Cristallo», 2012, LIV, 1, La toponomastica come interpretazione del paesaggio, anche politico

La toponomastica come interpretazione del paesaggio, anche politico1

Riprendendo testi di editoriali pubblicati sul quotidiano «Alto Adige» di Bolzano negli ultimi anni2 vorremmo provare a ricostruire alcuni elementi del dibattito pubblico e degli aspetti sociali relativi alla memoria collettiva nell’ambito della toponomastica e dell’odonomastica.

Certamente anche altri ambiti formano la memoria collettiva, come i monumenti e la produzione storiografica, dei quali ci siamo occupati nel saggio pubblicato su questa rivista nel 20113, o l’intitolazione degli edifici pubblici a personaggi passati alla storia o, come e’ accaduto recentemente a Bolzano, a personaggi tuttora in vita ed ancora politicamente molto attivi, come Luis Durnwalder, al quale e’ stata intitolata la biblioteca dell’Universita’ di Bolzano che si autodefinisce Libera Universita’ di Bolzano. Pensate se alla fine degli anni Settanta del secolo scorso qualcuno avesse intitolato una biblioteca al filosofo Luis Althusser, allora affascinante sessantenne che aveva ammaliato generazioni di neomarxisti in tutta Europa. Cosa avrebbero dovuto fare dopo che, nel 1980, in una crisi di nervi il brillante filosofo uccise la moglie strangolandola? E’forse anche per questo che l’intitolazione di edifici e strade deve avvenire solamente ad almeno dieci anni dalla morte del personaggio, salvo deroghe, come quella deliberata dal Comune di Bolzano nel 2011 con la quale si e’ deciso di intitolare la piazza di fronte al palazzo sede della Presidenza della Provincia Autonoma di Bolzano, che precedentemente era la parte finale della via dedicata a Crispi – dove si trova la Statua di Re Laurino, con il teutonico Dietrich von Bern che spezza le reni al re ladino, statua realizzata nei primi anni del Novecento dai nazionalisti tedeschi sulle Passeggiate del Talvera di Bolzano, distrutta dai nazionalisti italiani nel 1933, conservata per decenni a Rovereto e riportata a Bolzano, ma non nel luogo originale, negli anni Novanta del XX secolo – a Silvius Magnago, scomparso l’anno precedente.

Anche le feste nazionali, o l’istituzione delle “Giornate della memoria”, cosi diffuse a livello nazionale in questi ultimi decenni caratterizzati dalla perdita della memoria storica, possono dare l’indicazione delle scelte politiche delle maggioranze nazionali o locali. Sempre per rimanere sul soggetto sopra citato, e’ il caso di ricordare che una decina di anni or sono il Centrosinistra locale pateticamente buono propose di istituire una “Giornata dell’Autonomia”, ovviamente con il termine “Autonomia” scritto in maiuscolo, per istituire una giornata nella quale tutti i gruppi linguistici della provincia/Provincia avrebbero potuto e forse anche dovuto ricordare insieme questo concetto che potrebbe e dovrebbe essere accompagnato dalla pratica della democrazia. Intervistato in proposito il Landeshauptmann si espresse favorevolmente, proponendo come data celebrativa non la data in cui il Parlamento italiano legifero’ l’Autonomia regionale del 1° statuto del 1948 o quella provinciale del 2° statuto del 1972, ma la data in cui il congresso straordinario del suo partito approvo’, con una maggioranza risicatissima, la nuova autonomia. Una festa istituzionale per ricordare una scelta del partito, non delle istituzioni, dimenticando of course che lui all’epoca ed al congresso era assolutamente contrario all’autonomia, essendo favorevole all’autodeterminazione come tutti gli aderenti alla corrente di Brugger.

A nostro avviso anche questi settori fondamentali nel settore della politica culturale dimostrano l’ipocrisia di fondo della coalizione che governa il territorio provinciale e comunale a Bolzano, dove governano il partito piu’ votato dai sudtirolesi ed un insieme eterogeneo di partiti che complessivamente sono i meno votati dagli altoatesini, i quali, terminate le campagne elettorali basate sulla retorica della convivenza, praticano da decenni, da quando l’autonomia e’ passata dalla Regione alla Provincia, una politica che tende all’affermazione di una Leitkultur locale alla quale i gruppi di recente immigrazione, dagli altoatesini agli immigrati, devono necessariamente assimilarsi.

Toponomastica & memoria collettiva4

Da sempre nelle zone di confine la storia ha visto momenti di coesistenza pacifica, ma anche momenti caratterizzati da tentativi – piu’ o meno palesi, piu’ o meno riusciti – di snazionalizzazione. Uno dei terreni piu’ cari ai nazionalisti, di tutte le nazionalita’, e’ sempre stato quello della toponomastica, quasi nel tentativo di voler cancellare in questo modo la presenza, la storia e l’identita’ dell’ “altro”. Non a caso anche nella storia locale subito dopo l’annessione il principale punto di contrasto fra il Governatore Militare, Pecori-Giraldi, in una prima fase ed il Commissario Generale Civile, Credaro, in una seconda fase, con il responsabile del Commissariato per la Lingua e Cultura in Lingua Italiana, il nazionalista e fascista Tolomei, fu proprio relativo alla toponomastica, con un durissimo scontro fra quanti, pur rappresentando lo Stato italiano, cercarono di amministrare queste nuove terre con una logica politica rispettosa dell’identita’, della storia e delle tradizioni delle popolazioni che vi abitavano e chi, come Tolomei, pretendeva di cancellare l’identita’ culturale e la storia di queste popolazioni, proprio a partire dalla toponomastica.

Le autorita’ liberali erano favorevoli all’applicazione della toponomastica italiana, in gran parte inventata a tavolino da Tolomei, cosi’ come erano favorevoli all’apertura delle scuole italiane, ma la nuova denominazione dei luoghi ed il nuovo sistema scolastico avrebbero dovuto affiancare, non sostituire, le denominazioni e le scuole esistenti.

In una prima fase, quando a Roma governavano ancora i pur deboli governi liberali dell’immediato dopoguerra, Tolomei non riusci’ a vincere la propria battaglia e dovette andarsene dal Commissariato lingua e cultura di Bolzano, ma in seguito, con l’affermazione del fascismo e della cultura nazionalista, Tolomei riusci’ ad imporre la propria logica. Non a caso il Regio decreto sulla toponomastica e’ del 1923, mentre la chiusura delle scuole tedesche avvenne a partire dal 1926.

La differenza tra una cultura liberale ed una cultura totalitaria parte proprio da questi elementi, dalla accettazione che ci siano diverse culture e che queste possano essere elementi di ricchezza per un territorio. Lo Stato liberale, autorevole ma non autoritario, ne’ tantomeno totalitario, affrontava per la prima volta la questione delle minoranze nazionali, annesse contro la loro volonta’ in seguito ad una politica di conquista territoriale che, rivendicando territori abitati da popolazioni di lingua italiana, aveva superato il limite del confine linguistico per raggiungere un confine militarmente ed economicamente piu’ vantaggioso. Il fascismo ovviamente cambio’ politica, non potendo accettare la distinzione tra cittadinanza e nazionalita’, cercando di snazionalizzare le minoranze e di alterare i rapporti quantitativi tra i gruppi.

Come scrisse lo storico dell’arte Nicolo’ Rasmo, in un articolo pubblicato nel lontano 1954 sulla rivista Cultura Atesina-Kultur des Etschlandes, da lui diretta, in un articolo significativamente intitolato Toponimi e buonsenso…

“le conseguenze, astraendo dal penoso senso di ridicolo gravante non soltanto su chi progetto’ tali nomi, ma anche, e ben di piu’, su chi li accolse, li impose e li divulgo’, non mancarono di dimostrarsi controproducenti appunto nel campo della toponomastica stessa; perche’ nella massa delle denominazioni latine o italiane inventate, quelle, ed erano molte, autentiche e, come testimonianze storiche e culturali, veramente importanti, ormai spesso si perdono e rimangono cosi’ prive di efficacia e di valore per la media delle persone che in esse si imbattono. Infatti e’ piu’ logico che queste stesse persone dalla constatazione di prevalenti palesi falsi arrivino ad una conclusione generalizzante del tutto negativa e certo ingiusta.”

Proviamo a ricostruire brevemente anche gli aspetti normativi della questione, ricordando pero’ che anche i giuristi, come gli studiosi di linguistica, gli storici, i sociologi, ecc., molto spesso hanno usato le proprie competenze in modo strumentale: basti ricordare chi, pochi anni or sono, citava documenti delle Nazioni Unite estrapolando solamente alcune frasi da contesti generali, stravolgendone completamente il significato.

Per quanto riguarda la questione altoatesina, la prima fonte normativa riguardante la toponomastica, dopo l’annessione al Regno d’Italia, fu il Regio Decreto n. 800 del 29 marzo 1923, che introduceva la toponomastica italiana sulla base del Prontuario elaborato da Ettore Tolomei ed Ettore De Toni, pubblicato dalla Reale Societa’ Geografica Italiana. Durante l’occupazione nazista nell’Alpenvorland venne ripristinata la toponomastica in lingua tedesca, ma non venne mai formalmente eliminata quella in lingua italiana. E’interessante ricordare un fatto storico relativo ai nomi delle strade della citta’ di Bolzano: durante l’Alpenvorland venne ripristinata la toponomastica cittadina in vigore fino alla prima meta’ degli anni Venti, ma contestualmente venne lasciata in vigore la toponomastica stradale in lingua italiana frettolosamente mutata dopo il luglio del 1943.

Dopo la guerra, l’Accordo di Parigi prevedeva, alla lettera B dell’articolo 1,

“l’uso, su di una base di parita’, della lingua tedesca e della lingua italiana nelle pubbliche amministrazioni, nei documenti ufficiali, come pure nella nomenclatura topografica bilingue”;

principio ripreso dagli articoli 11, 84 e 86 dello Statuto di Autonomia del 1948, che comunque ribadivano l’ufficialita’ della lingua italiana.

Lo Statuto di Autonomia del 1972 prevede, all’articolo 8, la potesta’ per la Provincia di emanare norme legislative in materia di toponomastica,

“fermo restando l’obbligo della bilinguita’ nel territorio della provincia di Bolzano”,

mentre l’articolo 101 prevede l’uso della terminologia tedesca dopo l’accertamento preventivo ad opera della legge provinciale.

Conseguentemente al quadro legislativo risulta evidente che la legge regionale e’ competente per le denominazioni dei nuovi Comuni e per le modifiche alle denominazioni preesistenti, mentre la legge provinciale e’ competente per la rimanente toponomastica locale e per l’accertamento delle denominazioni tedesche, al fine di legittimarne l’uso da parte della Pubblica Amministrazione, anche se in realta’, essendo i toponimi tedeschi reintrodotti fino dal 1945, tale competenza sembra essere esercitabile soltanto per eventuali variazioni. In ogni riferimento normativo comunque e’ sempre ribadito il carattere bilingue della toponomastica ufficiale nella provincia.

Un eventuale impedimento legislativo nei confronti della comunita’ italiana del diritto di esprimersi nella propria lingua per identificare, secondo criteri ormai famigliari, i luoghi in cui la comunita’ si e’ sviluppata da piu’ di novant’anni, significherebbe incentivare una frattura fra la comunita’ e il territorio, creando una progressiva estraneita’ rispetto alla realta’ locale. Sara’ sicuramente il buonsenso, insieme ad una maggiore conoscenza della seconda lingua, della storia, della geografia e dell’antropologia locale – che noi tutti auspichiamo siano sempre piu’ frequentemente studiate nelle nostre scuole, seguendo le indicazioni delle piu’ aggiornate metodologie didattiche -, che renderanno inevitabile, nel corso del tempo, l’uso della lingua tedesca per quanto riguarda la microtoponomastica, cosi’ immediatamente legata alla storia, alla geografia ed all’antropologia. Riteniamo che questo tipo di scelte politiche, relative a politiche culturali, rappresentino la strada da seguire per fare in modo che il terreno della toponomastica si trasformi, nel corso del tempo, da un terreno minato – minato abilmente dai nazionalisti di entrambe le parti – in un terreno di confronto e di studio per il reciproco arricchimento di tutti coloro i quali intendono vivere pacificamente in questo territorio.

Anche dopo la Liberazione, la Repubblica cerco’ di rapportarsi con le minoranze locali in modo autoritario, cercando di applicare l’Accordo di Parigi e l’Autonomia del 1948 in un quadro territoriale ed una gestione che non consentiva una reale autonomia delle minoranze nazionali.

Con l’Autonomia del 1972 le cose sono andate diversamente, ma non meglio dal punto di vista degli altoatesini e dal punto di vista della democrazia. Il partito etnico locale ha gestito spesso con spirito revanchista l’autonomia, come una sorta di autodeterminazione interna, e molti leader del partito hanno avuto la stessa logica di Tolomei, ma simmetrica. Per questi nazionalisti il problema non era solamente quello legittimo di tutelare la propria cultura, ma quello di ritedeschizzare il territorio, riducendo ai minimi termini la presenza degli altoatesini, dello Stato italiano e della sua presenza istituzionale, politica, economica e culturale. I 35.000 cartelli indicatori monolingui piazzati recentemente nel territorio dall’Alpenverein per incarico finanziato dalla Provincia ricordano, dal punto di vista quantitativo, gli oltre 25.000 altoatesini che sono scomparsi dal territorio a partire dal momento in cui il potere e’ passato dalle mani dei nazionalisti italiani a quelle dei nazionalisti tedeschi. Stando ai dati dei censimenti nel 1971 in Alto Adige vivevano 138.000 italiani, 260.000 tedeschi e 15.000 ladini. Trent’anni dopo, nel 2001, vi erano 113.000 italiani (-25.000), 296.000 tedeschi (+36.000) e 19.000 ladini (+ 4.000). I primi dati ufficiosi del censimento del 2011 recentemente diffusi confermano il trend negativo del gruppo italiano, pur in presenza dell’aggregazione di molti immigrati i cui figli sono iscritti prevalentemente nelle scuole italiane.

Come qualsiasi stato-autorita’ autorevole ma non autoritario nel secolo scorso ha sempre imposto la propria toponomastica ed aperto proprie scuole nei territori annessi, rispettando al tempo stesso la cultura locale, ed ogni Stato autoritario ha fatto della pulizia etnica un proprio elemento caratterizzante, uno Stato democratico autorevole deve rispettare e valorizzare le minoranze etniche presenti nel proprio territorio, ma deve evitare che queste minoranze, una volta ottenuta una autonomia per il territorio nel quale sono maggioranza, usino lo strumento non per tutelarsi ma per eliminare, ridurre, marginalizzare ed umiliare la popolazione che non appartiene alla minoranza ma allo Stato nazionale, lo Staatsvolk, come veniva sprezzantemente definita dai sudtirolesi nazionalisti la popolazione altoatesina. Questo e’ stato fatto per decenni per una serie di cause diverse ma convergenti, come la complicita’ dei partner politici altoatesini locali del centrosinistra cooptati nelle giunte dall’SVP tra le persone meno votate dagli altoatesini e dei loro referenti nazionali, che hanno sempre belato una retorica della convivenza, e l’incapacita’ del centrodestra di denunciare le storture dell’autonomia senza diventare nazionalisti e rimpiangere il ventennio, che hanno sempre ululato una retorica nazionalista.

Per questo motivo se lo Stato italiano o l’Europa intervengono autorevolmente per denunciare abusi della gestione dell’autonomia che hanno portato all’eliminazione della toponomastica bilingue, alla marginalizzazione degli altoatesini operata in mille modi – pensiamo al sistema scolastico dove per anni il sistema di potere locale ha negato agli altoatesini il diritto di scegliere come imparare il tedesco, ha negato l’esistenza dei mistilingue, ha creato mille difficolta’ agli altoatesini che volevano iscrivere i propri figli nelle scuole tedesche, ha concentrato la maggior parte degli immigrati nelle scuole italiane, ha voluto detenere il monopolio del sistema di accertamento del bilinguismo, ha impedito il diritto di voto agli italiani immigrati da meno di 4 anni, ha imposto il censimento etnico nominativo, ecc., – non mi aggrego al gruppo di quanti denunciano un eccessivo centralismo governativo antiautonomista – come il leader trentino Dellai che dovrebbe ricordare che lo Statuto del 1948 e’ fallito per un mix il centralismo romano e trentino -, ma auspico che lo Stato italiano, l’Europa e l’opinione pubblica discutano ed intervengano della/nella questione altoatesina, facendo in modo che i gruppi linguistici locali e le loro culture debbano tornare ad avere pari dignita’ e pari opportunita’. Perche’ se sicuramente non e’ vero che “l’Italia qui giunse per civilizzare i barbari”, come e’ scritto sul Monumento alla Vittoria, non credo che i pronipoti dei sudtirolesi vittime della politica fascista possano, in nome della storia e dei torti subiti, fare una politica sostanzialmente uguale e contraria.

Poco o nulla e’ stato fatto nel campo culturale e scolastico affinche’ la questione della toponomastica venga studiata anche dal punto di vista storico, per vedere quando e come sono stati coniati e trasformati i toponimi; linguistico, per vedere le stratificazioni contenute nei toponimi; geografico, per vedere come la toponomastica puo’ essere un formidabile strumento per verificare i processi di antropizzazione; sociologico-antropologico, per vedere come la toponomastica possa costituire un elemento costitutivo delle identita’ collettive.

E’ rimasto un problema esclusivamente politico e la questione viene proposta dai partiti tedeschi con spirito revanchista camuffato da rigore storico o filologico e dai relitti dei partiti italiani come merce di scambio.

Toponomastica & commissioni scientifiche

Il disegno di legge riguardante la toponomastica presentato dalla SVP nel 2010 costituisce una falsa soluzione ad un falso problema.

Un falso problema, perche’ la normativa e’ chiara ed il problema di decidere quanti toponimi italiani riconoscere e’ una pura speculazione politica, visto che si tratta semplicemente di ufficializzare la toponomastica in lingua tedesca rispettando il bilinguismo.

Una falsa soluzione, perche’ il nucleo centrale della proposta, riguardante il tentativo di spostare la questione dal campo della politica al campo degli esperti, non risolve la questione, ma ne dilata ancora una volta i tempi della risoluzione.

Il discorso potrebbe sembrare a prima vista condivisibile: dove i politici non trovano un accordo politico gli esperti sapranno dare una risposta scientifica. Nulla di piu’ sbagliato e demagogico. Il discorso parte da una cieca fiducia nella scienza storica e linguistica. Io non ho mai creduto ne’ alla neutralita’ della scienza ne’, tantomeno, alla neutralita’ della ricerca storica. Il che non significa affermare che ne’ l’una ne’ l’altra non siano importantissime per lo sviluppo culturale dell’umanita’. Ma penso che storicizzare la scienza sia piu’ semplice ed utile che tentare di rendere scientifica la storia. La storia, soprattutto quella delle regioni di confine contese tra stati nazionali, e’ spesso stata utilizzata per rivendicazioni nazionali, cosi’ come la linguistica in tutti i suoi settori, dalla toponomastica all’onomastica, all’odonomastica, alla dialettologia. Basta ricordare la secolare questione sul ladino visto come lingua o come dialetto.

Ma come saranno scelti questi esperti? Per ricordare come viene vista, utilizzata ed amministrata la ricerca storica locale dalla Provincia, e’ bene ricordare che l’Archivio Provinciale, con il relativo ufficio per la toponomastica, dalla sua costituzione fino al 1993 dipendeva dall’Assessorato alla Cultura in lingua tedesca, ed in seguito e’ passato di competenza al Dipartimento dei Beni culturali, da sempre retto dall’Assessore alla Cultura in lingua tedesca. L’Ufficio occupa cinque ricercatori, tutti e cinque di lingua tedesca fino al 2004, mentre da allora occupa anche un italofono scelto dall’Assessora tedesca competente.

Oltre all’esperto dell’Archivio provinciale la commissione sara’ composta da altri membri provinciali: un rappresentante della Ripartizione urbanistica, uno dell’Ufficio statistica ed uno del Libro fondiario, oltre ad un rappresentante del Consorzio dei Comuni, tutti funzionari di amministrazioni locali estremamente etnicizzate e politicizzate, dove i margini di autonomia dal potere politico non sono paragonabili a quelli dell’amministrazione statale. Io lavoro da oltre 35 anni come insegnante statale, ma la mia carriera non dipende dai miei rapporti con il Ministro della Pubblica istruzione, che non ho mai conosciuto in vita mia ed ovviamente non mi conosce, mentre nelle amministrazioni locali il rapporto tra il funzionario ed il politico di turno e’ frequente e determinante, con un controllo, anche politico, molto marcato. I funzionari provinciali di lingua italiana sono scelti da politici a loro volta scelti dall’SVP, e quindi anche negli assessorati assolutamente italiani, come la scuola e la cultura, i funzionari, ben contenti se il loro assessore competente e’ assolutamente incompetente, cosi’ comandano loro, sanno che il loro assessore avra’ vita breve, ma il partito localmente dominante che controlla l’Amministrazione nella quale devono fare carriera assolutamente no.

Il rappresentante del Consorzio dei Comuni, oltre ad avere col potere politico locale un rapporto molto stretto, dovra’ rappresentare quella comunita’ di 114 sindaci dei 116 comuni dell’Alto Adige che nel gennaio del 2006 chiese all’Austria di inserire nella propria costituzione un riferimento esplicito al diritto all’autodeterminazione dei sudtirolesi. Da ricordare inoltre che moltissimi comuni hanno gia’ anticipato la soluzione radicale del progetto SVP di eliminare la toponomastica italiana. Ed e’ forse proprio per questo che la Provincia, che solitamente non brilla per processi di decentramento decisionale, una volta ottenuto il potere dallo Stato e dalla Regione ha deciso di coinvolgere i comuni.

Sulla composizione etnica della commissione, tre tedeschi, un ladino ed un italiano, i numeri parlano da soli per quanto riguarda le maggioranze possibili, quando non saranno all’unanimita’ per i motivi sopra esposti.

L’idea di consultare anche le popolazioni locali, in nome della democrazia partecipata, e’ un’ulteriore offesa al diritto di tutela delle minoranze, quelle territoriali locali, non quelle nazionali, che stanno scomparendo da trent’anni, come la toponomastica bilingue, tra i silenzi imbarazzati dei loro rappresentanti politici cooptati al governo provinciale. Gli stessi rappresentanti politici che, nel 2003 e nel 2008, nei programmi di giunta provinciale, si sono impegnati a

“ (…) giungere ad una soluzione accettabile per tutti e tre i gruppi linguistici, tenendo conto della proposta avanzata nella scorsa legislatura dal Presidente della Giunta provinciale e della SVP”,

e che ora fanno finta di stupirsi della stessa proposta.

La discussione da parte del Consiglio provinciale della proposta SVP riguardante la toponomastica, che prevede l’eliminazione della maggior parte della toponomastica italiana, a prescindere dai risultati delle mediazioni politiche e dall’atteggiamento degli organi statali che potrebbero contestare la legittimita’ di una legge provinciale con questi contenuti – riproponendo una mentalita’ politica conseguentemente alla quale gli altoatesini cercano tutela da parte dello Stato italiano di fronte ad una Provincia tedesca -, potrebbe rappresentare un punto di non ritorno nei rapporti tra i gruppi.

Conoscendo la logica e lo stile dell’attuale rappresentanza italiana di giunta posso pensare che, in cambio di alcune migliaia di toponimi – spesso sconosciuti alla popolazione italiana, ma che se proibiti diverrebbero improvvisamente importantissimi – chiederebbero dei nuovi incarichi per i propri grandi elettori, alcuni milioni di €uro per alcune fabbriche decotte della zona industriale o alcuni appartamenti in piu’ per gli italiani nell’edilizia sociale, e probabilmente l’SVP sarebbe disposta al baratto, ma dal punto di vista politico ed elettorale sarebbe sicuramente l’ultima trattativa tra l’SVP e questi partiti: la successiva rappresentanza elettorale degli altoatesini in questo caso sarebbe sicuramente diversa, e l’astensionismo che ha caratterizzato anche le ultime elezioni amministrative, conseguenza della netta sensazione di non contare assolutamente nulla, aumenterebbe ulteriormente.

La richiesta SVP riguardante la toponomastica non e’ nemmeno paragonabile alla proporzionale, sicuramente non amata dagli altoatesini e recentemente rivalutata anche dai disinvolti Verdi postlangeriani e dai postfascisti.

La proporzionale sicuramente favorisce l’assimilazione degli altoatesini bilingui e la tedeschizzazione del 4° gruppo. Originariamente scaturiva dalla necessita’ di consentire l’accesso al pubblico impiego dei sudtirolesi, accesso impedito di fatto dalla politica dell’epoca del fascismo e della prima autonomia. In seguito, per scelte politiche, e’ stata estesa ad altri settori della societa’, con l’ovvia conseguenza di dover quantificare la consistenza dei gruppi e di doversi dichiarare in maniera non anonima appartenente ad uno dei tre gruppi riconosciuti.

Si trattava pero’ pur sempre di spartirsi risorse limitate: posti di lavoro, alloggi e finanziamenti possono andare o ad un sudtirolese o ad un altoatesino o a un ladino.

Io rimango dell’idea che i criteri del bisogno e del merito debbano prevalere rispetto alla consistenza dei gruppi e che la carriera debba essere garantita alle persone capaci, meritevoli e bilingui e non ai predestinati di un gruppo etnico, qualunque esso sia, ma mi rendo conto che per i partiti che si muovono esclusivamente su base etnica e politiche clientelari questo criterio rimanga indiscutibile, e che lo strapotere dell’SVP e’ oramai tale che la sua eliminazione porterebbe alla scomparsa degli altoatesini nei posti-chiave dell’amministrazione provinciale, come e’ gia’ avvenuto negli enti strumentali della Provincia dove non e’ applicata.

La proposta di eliminare la toponomastica bilingue in un territorio bilingue e’ assurda, perche’ ripropone un’impostazione dell’autonomia secondo la quale i diritti di un gruppo devono essere sottratti all’altro gruppo.

Il bilinguismo non fa male a nessuno, a meno che non si desideri creare le premesse per una rapida “ritedeschizzazione” dell’Alto Adige-Suedtirol, con una logica uguale e contraria a quella applicata nel 1923, quando il nascente fascismo condivideva la proposta di Tolomei di “reitalianizzare” il territorio e la popolazione. Infatti il “becchino del Sudtirolo”, come viene definito l’ipernazionalista Tolomei dai sudtirolesi, non parlava mai di snazionalizzazione, ma sosteneva che la popolazione ed il territorio erano stati tedeschizzati recentemente, e che quindi andavano “reitalianizzati”. E per fare questo andava nel passato a cercare ogni traccia della presenza italiana, andando indietro nel tempo, fino all’Impero romano se necessario, per giustificare le proprie tesi. Questo e’ sempre stato l’atteggiamento culturale dei nazionalisti delle zone di confine, o nelle zone dove i confini sono stati piu’ volte spostati, da sempre caratterizzate dalla presenza di tracce culturali e materiali di altre culture dominanti o semplicemente presenti in altre epoche. Ognuno va nel passato a cercare il periodo nel quale la propria cultura era dominante e, rivendicandone la discendenza, cerca di dimostrare che l’altra cultura ha meno dignita’, perche’ successiva. Nel caso specifico i nazionalisti sudtirolesi, che a differenza di quelli italiani si trovano ancora al potere, motivano il loro ragionamento anche con il fatto che questi elementi di cultura italiana sono stati creati durante il fascismo. Il ragionamento, pur essendo storicamente motivato, alla fine non porta che al tentativo di eliminare ogni traccia culturale dell’altro gruppo, considerato usurpatore, snazionalizzatore, ecc.

In una citta’ che si candida a “Capitale europea della cultura” per la presenza storica di piu’ gruppi linguistici ed in una Provincia che argomenta la ricca ed eccezionale autonomia per la presenza di minoranze nazionali questo atteggiamento e’ semplicemente assurdo. Solamente la storicizzazione di ogni elemento culturale, anche di quelli creati durante il regime, puo’ risolvere il problema senza crearne un altro, e solamente altoatesini bilingui e consapevoli di vivere in un territorio dalla storia particolare potranno scegliere, liberamente, di usare la toponomastica che riterranno piu’ opportuna.

Toponomastica & cartelli indicatori

Nell’autunno del 2010 e’ stato firmato un accordo tra il ministro del Governo Berlusconi Fitto e Durnwalder per la soluzione del problema creato ad arte dall’asse SVP-AVS nel settore dei cartelli indicatori finanziati con i soldi pubblici e realizzati monolingue-tedeschi, quasi ad anticipare e tastare il polso al moribondo per vedere le sue reazioni in vista dell’imminente discussione nel Consiglio provinciale della proposta di legge SVP sulla toponomastica ufficiale, che prevede la quasi totale eliminazione della toponomastica italiana.

Il testo dell’accordo e’ di per se’ ambiguo, ed il fatto che il comunicato ufficiale non fosse congiunto ma separato da parte dei due contraenti non indicava nulla di buono, tant’e’ vero che immediatamente e’ nata una questione sull’interpretazione del termine “Ortschaften”-“localita’”, vista come localita’ antropizzata nell’interpretazione/testo tedesco e come luogo geografico nell’interpretazione/testo italiano. Ma oltre a questo, anche il riferimento alla “storicita’” dei nomi e’ ambiguo e si presta a discussioni infinite. Alcuni hanno messo in relazione le ambiguita’ con la necessita’ di Berlusconi in quella fase di instabilita’ politica di crearsi alleanze anche con il diavolo, sia esso siciliano o sudtirolese, pur di sopravvivere politicamente alle bordate dell’ex cofondatore Fini.

Il problema riguardava le scelte degli esperti per la composizione della commissione. Si parlava di esperti e qualcuno ha pensato ingenuamente a storici o linguisti, ma lo Stato ha nominato due giuristi, mentre la Provincia ha nominato tre politici. Inoltre lo Stato ha nominato un’italiana ed un sudtirolese non allineato, mentre la Provincia ha nominato tre sudtirolesi iperstrutturati etnicamente e politicamente. Con queste premesse l’attuale commissione e le altre che proseguiranno i lavori potranno lavorare almeno per cinquant’anni, e quindi i nomi italiani, che pur esistono da poco meno di un secolo, saranno all’epoca ancora “piu’ storici”. Ma, essendo calati gli altoatesini di circa 30.000 unita’ negli ultimi quarant’anni ed essendo oramai scomparsi da ogni luogo di potere economico, politico e culturale, con questo trend politicamente corretto e politicamente determinato nei prossimi cinquant’anni saranno ampiamente superati dagli stranieri, che gia’ oggi hanno sopravanzato, con uno sviluppo inimmaginabile solamente dieci anni fa, la popolazione ladina. Viste le tristissime considerazioni di Theiner, che recentemente si rammaricava del fatto che i figli degli immigrati, essendo inseriti per il 70% nelle scuole italiane che ospitano il 25% della popolazione scolastica, inevitabilmente si dichiareranno italiani nei prossimi censimenti, possiamo prevedere che al termine dei cinquantennali lavori della commissione per la toponomastica i rappresentanti degli altoatesini che la commenteranno avranno tutti nomi di origine albanese o magrebina – essendo gli immigrati di origine dei paesi dell’Est predestinati a diventare dei veri sudtirolesi ! -, e di religione islamica.

Odonomastica & memoria collettiva

Nei secoli passati  solo le antiche grandi strade consolari romane avevano una denominazione  che derivava dal nome del console  che le aveva fatte costruire: Via Emilia, Via Aurelia, Via Cassia, Via Appia, ecc., ma nelle campagne, e spesso anche nelle citta’, non esistevano denominazioni ufficiali per le  strade, ne’  i numeri civici per le case, ne’  indirizzi precisi come li conosciamo noi oggi.

Nei documenti pubblici o negli atti notarili dove fosse necessario indicare un’abitazione o un podere oggetto di compravendita, si usava scrivere il nome del proprietario dell’edificio o del terreno venduto e i nomi dei proprietari dei terreni confinanti, “a levante”, “a ponente” , “a mezzogiorno” e “a tramontana”; se c’era, si citava la presenza di un fossato, o di un fiume confinante, o di uno “stradello pubblico” o di una “via che va a…”, seguita dal nome della localita’  verso cui la strada era diretta.

Dai tempi piu’ antichi la maggioranza dei centri urbani, delle piazze e delle strade acquisiva, con l’incredibile continuita’ della tradizione orale, appellativi motivati dai costumi, dalle caratteristiche naturali, dalle attivita’ artigianali svolte, da episodi storici o di modesta cronaca, da persone illustri o dalla “parlata” del luogo. Un’odonomastica “spontanea” che costituisce un patrimonio di storia locale che e’ necessario conoscere anche nelle sue trasformazioni e gestire con attenzione.

Fu la Rivoluzione francese a diffondere la moda di intitolare vie e piazze a personaggi o avvenimenti che travalicavano l’ambito paesano, e cosi’ nell’odonomastica (che e’ una sezione della toponomastica, dal greco odos = strada) le testimonianze epigrafiche ed onomastiche del passato divennero una sorta di sacrario o di elenchi celebrativi di patrioti, di glorie, nazionali o internazionali, delle attivita’ umane, al fine della costruzione dell’identita’ nazionale.

Anche in Italia leggiamo nomi legati soprattutto alla storia, dall’Unita’ in poi, e ad avvenimenti degli ultimi decenni. Molti luoghi si sono trasformati in un gigantesco pantheon o musei a cielo aperto e spesso in un’arena dello scontro politico dalle sembianze culturali, ad ennesima dimostrazione che anche il passato, soprattutto quello piu’ recente, come il presente, e’ sempre terreno di confronto-scontro politico. E’ accaduto ai tempi delle ideologie, con l’intitolazione di strade a personaggi che erano rappresentativi di alcuni patrimoni politico-culturali di parte ed evidenziavano l’orientamento politico dell’amministrazione locale, ed accade anche negli ultimi anni – ideologicamente definiti “post-ideologici” -, sempre motivando l’operazione con grandi idealita’ e nobili intenti, come e’ accaduto recentemente a Milano con la proposta di intitolare a Craxi un parco cittadino, paragonando con l’occasione l’ex presidente del Consiglio morto latitante con Dante Alighieri morto in esilio.

A volte l’odonomastica diventa anche argomento di scontro etnico, come sempre accade in questa terra di confine annessa contro la volonta’ della popolazione sudtirolese, minoranza nazionale e maggioranza locale.

Nella citta’ di Bolzano i primi interventi sistematici riguardanti l’odonomastica sono della fine degli anni Venti, ufficialmente motivati dalla necessita’ di sistematizzare la topografia urbana ai fini dell’imminente censimento del 1931, e la storia dell’odonomastica cittadina – ancora tutta da scrivere con criteri scientifici e non ideologici o semplicemente “politicamente corretti”, come altri elementi della storia urbana del XX secolo – si intreccia con le interessantissime vicende della storia locale.

Altre intitolazioni sono la conseguenza di circolari del Ministero degli Interni, attuate dai prefetti in epoca fascista, che imponevano ad esempio di intitolare la strada principale a Roma, la capitale, indicazioni applicate dall’Alto Adige alla Sicilia, pur in realta’ con sentimenti nazionali molto diversi.

Negli ultimi decenni alcune amministrazioni comunali di orientamento leghista nell’Italia del Nord hanno utilizzato l’odonomastica per ribadire un’alterita’ nei confronti dello Stato nazionale, ed anche nel Trentino vi sono stati casi di sostituzione dell’odonomastica italiana con odonomastica esclusivamente ladina, sempre con motivazioni di carattere storico-culturale che spesso servono per ribadire un’alterita’ e a motivare culturalmente ed etnicamente un’autonomia che pare ai piu’ un privilegio.

In Alto Adige-Suedtirol da alcuni anni, a partire dal caso di Cortaccia-Kurtatsch del 2000, alcune amministrazioni locali colgono l’occasione della riorganizzazione della denominazione delle strade o dei cambiamenti dei cartelli indicatori per sostituire odonimi bilingui con denominazioni monolingui, anticipando quella che da decenni e’ la linea del partito etnico localmente dominante riguardante la toponomastica, in nome del rigore storico e dell’autonomia, dimenticandosi che anche l’elemento del topos – l’immagine simbolica della patria e del territorio, di cui sono elementi fondamentali la toponomastica e l’odonomastica – costituisce, insieme ad altri elementi non meno importanti, quel sentimento di appartenenza ad una comunita’ e ad un territorio che dovrebbe essere bilingue formalmente e culturalmente oltre che sostanzialmente, come e’ gia’ da un secolo, oltre le ipocrite dichiarazioni dei politici che propongono questo territorio come modello di convivenza ma appena possono – ed anche quando non potrebbero – praticano forme di cancellazione, assimilazione, ghettizzazione ed emarginazione.

L’odonomastica di Bolzano dall’annessione alla guerra mondiale

A partire dall’annessione le vicende dell’odonomastica bolzanina si intrecciano con le interessanti vicende della storia locale del Novecento.

Il fascismo interviene sistematicamente nel settore dell’odonomastica bolzanina solamente nel 1927, con la motivazione dell’imminente censimento generale della popolazione previsto per il 1931. Fino ad allora gli interventi urbanistici erano stati molto limitati. La commissione per la toponomastica delle vie cittadine, composta dai presidi delle scuole locali oramai italianizzate e parzialmente fascistizzate, decide i seguenti cambiamenti: Via Nuova diventa Via Piave, Via dei Campi Via Pietro Micca, Via Cassa di Risparmio Via Regina Elena, Via Eisenstecken Piazza della Vittoria, Piazza della Stazione Piazza Garibaldi, la Strada nuova (l’attuale Via Diaz) Corso Cesare Battisti, Via Lofferer Via Montegrappa, Via Lindner e Via Mumelter Corso 28 ottobre, il Lungotalvera destro Lungotalvera San Giorgio, il Lungotalvera sinistro Lungotalvera Sant’Antonio. I riferimenti alle persone, alle date ed alle localita’ si spostano quindi dalla cultura locale di lingua tedesca a quella nazionale italiana.

Nel 1928 abbiamo le denominazioni di nuove vie: Via Armando Diaz (l’attuale Via Principe Eugenio di Savoia), Viale Venezia, Via Fiume, Via Zara, Via Mendola. Si decidono le denominazioni di strade esistenti senza nome: Via Francesco Rismondo, Via Damiano Chiesa, Via Nazario Sauro, Via Fabio Filzi, dove sono attualmente, e Via Francesco Baracca, che allora si trovava tra Via Sant’Osvaldo e Via della Dogana.

Visto che il fascismo aveva una logica – non condivisibile, ma sicuramente chiara ed intelligibile – le intitolazioni di questo periodo erano finalizzate alla costruzione di un’identita’ italiana che si doveva ispirare al Risorgimento, alla Grande guerra vista come il suo epilogo naturale ed alle “Tre Venezie”, un’ ”invenzione della tradizione” che avrebbe dovuto motivare geograficamente e culturalmente l’annessione della neocostituita Provincia di Bolzano; piu’ tardi i riferimenti saranno alla fase rivoluzionaria del movimento fascista, con l’intitolazione delle strade alle vittime del fascismo del periodo precedente il regime, soprattutto nella Zona industriale, o all’impero ed alle localita’ africane delle battaglie colonialiste.

Altre scelte sono altamente simboliche, come l’intitolazione della Via della Mendola a Cesare Battisti, dovuta al fatto che i primi soldati italiani che entrarono a Bolzano nel novembre del 1918 arrivarono dalla Mendola percorrendo questa strada, che non a caso sbocca nella piazza, allora Foro della Vittoria, sotto un arco.

Nell’ambito del tentativo di ricercare delle motivazioni storiche alla dominazione italiana dell’Alto Adige-Suedtirol apparvero sull’“Archivio per l’Alto Adige”, la rivista di Tolomei, numerosi contributi riguardanti la storia di Claudio Druso, conquistatore della Germania. Druso veniva definito il fondatore di Pons Drusi, localita’ dalla quale si sarebbe in seguito sviluppata la citta’ di Bolzano, argomento sviluppato in particolar modo sulla rivista “Atesia Augusta” alla fine degli anni Trenta. Nella citta’ una torre medioevale a pianta circolare venne per questo definita Torre di Druso; il ponte costruito sul torrente Talvera alla confluenza con l’Isarco, la nuova arteria che portava verso Merano ed il campo sportivo inaugurati nel 1931, ovviamente il 28 ottobre, furono intitolati al condottiero romano; anche la Legione degli avanguardisti di Bolzano venne intitolata a Druso, e secondo Ettore Tolomei:

“anche il cavallo avelignese, che per i caratteri somatici e genealogici dicesi derivato dalle razze importate dalle Colonne di Druso, e’ uno dei piu’ singolari e utili prodotti della terra atesina.”

Nel 1936 Via Mendola diventera’ Via Cesare Battisti, Piazza Grande Italia Piazza Tiberio, Via Merano Via Vittorio Veneto, Via Casino Municipale Via delle Marcelline, Piazza Garibaldi Piazza Stazione, Via Mercato Via Garibaldi, Piazza Mercato Piazza Filippo Corridoni.

Nel 1939 la commissione afferma che le nuove scelte in materia di odonomastica servono anche per facilitare il compito dell’individuazione delle strade per grandi aree tematiche. In questa logica le vie della nuova zona industriale saranno intitolate ai fascisti delle origini, come Armando Casalini o il quadrumviro Michele Bianchi, ed ai sindacalisti, come Filippo Corridoni o Luigi Razza. Le arterie che portano i nomi delle citta’ o delle regioni saranno quelle dei quartieri popolari, mentre i nomi che rievocano storici o figure di grandi italiani saranno quelle della zona monumentale.

Dopo il 25 luglio del 1943, con la caduta di Mussolini, si cerca di eliminare i nomi piu’ imbarazzanti. Piazza Arnaldo Mussolini diventa Piazza Tribunale. Corso 28 ottobre si trasforma nel piu’ innocuo Via Cadorna. Nella zona industriale Razza lascia il posto a Volta, il quadrumviro Bianchi al fisico Pacinotti.

Dopo l’8 settembre 1943 le autorita’ germaniche naziste dell’Alpenvorland ripristinano le vecchie denominazioni di lingua tedesca eliminate negli anni Venti, lasciando allo stesso tempo quelle in lingua italiana imposte successivamente, dimostrando paradossalmente un atteggiamento piu’ rispettoso di altre autorita’ che, precedentemente e successivamente, hanno cercato di imporre un’unica caratteristica alla toponomastica e all’odonomastica del territorio.

L’odonomastica di Bolzano dalla Liberazione alla fine del secolo scorso

Dopo il 25 aprile del 1945 i nomi piu’ imbarazzanti della citta’ di Bolzano ancora in uso dopo la repentina sostituzione del luglio 1943 vengono sostituiti anche con quelli delle vittime del fascismo, come Matteotti che prende il nome della Piazza del Littorio e Manlio Longon che prende il nome di Via Enderta’. Piazza Grande Italia torna ad essere Piazza Gries, Piazza Impero diviene Piazza Mazzini, Corso IX Maggio Corso Liberta’, Viale Giulio Cesare Corso Italia. Nella zona industriale il nome del sindacalista cattolico Grandi prende il posto del sindacalista fascista Armando Casalini.

Nel 1946 si delibera una nuova denominazione ufficiale bilingue delle strade cittadine e vengono anche cambiati alcuni nomi delle strade: Vicolo dei Cavallari diviene Vicolo delle Erbe, Piazza 2 ottobre Piazza Municipio, Via Sarentino Via Weggenstein, Via dei Selva Via Wolkenstein, Via Verdi Via Isarco, Via Vintola Via Vintler.

L’anno seguente la commissione per l’odonomastica cittadina cambia definitivamente i nomi di alcune strade che erano state temporaneamente rinominate precedentemente: Piazza Cairoli diventa Piazza della Madonna; Via Berta non sara’ piu’ Via Leonardo da Vinci ma diventera’ Via Galilei; Via Combattenti non sara’ Via del Sole, ma rimarra’ Via Combattenti; Via Roma non sara’ piu’ la continuazione di Viale Giulio Cesare ma si chiamera’ Via Roma; Via Crispi non sara’ piu’ Via Roma ma sara’ Via Gilm; Via Leonardo da Vinci non sara’ piu’ Via Defregger ma rimarra’ Via Leonardo da Vinci; Via Diaz non diventera’ Via Gries ma rimarra’ Via Diaz; Via Giovane Italia non diventera’ Via Talvera ma Via Stechbacher.

Nel 1948, in un animato dibattito nel Consiglio comunale sul problema della odonomastica cittadina, l’ingegner Ardizzone – padre di Andreina Emeri -, consigliere del Movimento Sociale, propone di numerare le strade come si usa negli Stati Uniti, per eliminare problemi etnici e politici; nel 1949 l’odonomastica cittadina e’ oramai pressoche’ definitiva.

Nel 1953 una nuova scelta della commissione toponomastica del Comune relativa ad alcune strade. La strada che da Piazza Adriano dovrebbe collegarsi a Piazza Gries, che sarebbe dovuta essere intitolata ad Ottaviano Augusto in base al progetto dell’epoca fascista, si chiamera’ Viale Amedeo Duca d’Aosta; la strada che si immette su Piazza Don Bosco, ex Piazza Pontinia, si chiamera’ Via Montecassino; la strada di fronte alle scuole elementari di Via Manlio Longon Via Rottenburg; la strada parallela Via delle Orsoline; la continuazione di Via Roma Via Novacella; una nuova diramazione di Via Roma Via Vicenza; una diramazione di Via Milano Via Bassano del Grappa; una diramazione di Via Claudia Augusta Via Fratelli Bronzetti.

Nel 1967 nuova revisione della toponomastica stradale di Bolzano: Via Pie’ di Virgolo diventa Via Campegno, a due nuove strade vengono dati i nomi di Via Glorenza e Via Roen, la Via dr. Streiter diventa nuovamente Via Carrettai, due nuove strade vengono denominate Via Ischia e Via Sorrento. Alcuni consiglieri propongono di intitolare le strade a Di Vittorio, Valier, Gaismair, ma l’assessore competente Battisti ritiene la proposta una strumentalizzazione politica dell’odonomastica.

Nel 1968 la commissione per la toponomastica comunale propone di intitolare nuovamente Via Streiter la Via Carrettai. Nuove strade e gallerie vengono intitolate a Vintler, Sciliar, Laurino, Telser, Europa. Nell’articolo giornalistico di cronaca risulta che l’attuale Via Gaismair sarebbe dovuta essere intitolata Via Ortler, ma il PCI propose di intitolare la strada, allora periferica, all’eroe della guerra contadina tirolese volutamente dimenticato dalla cultura del partito etnicamente egemone, il quale si oppose di principio al fatto che un partito italiano, seppur formalmente interetnico, proponesse l’intitolazione di una strada ad un personaggio della cultura tedesca, della quale evidentemente rivendicava l’assoluta rappresentanza non solo politica, ma anche culturale e storica.

Negli anni Settanta ed Ottanta Bolzano ha avuto uno sviluppo limitato a causa della competenza diventata provinciale che ne ha impedito lo sviluppo, e la citta’ ha perso in venti anni oltre 10.000 abitanti ed una serie di opportunita’, come il teatro e l’universita’, arrivate solamente negli anni Novanta in seguito al cambiamento generazionale della leadership sudtirolese del 1989, oramai consapevole che non era piu’ necessario bloccarne lo sviluppo, in quanto nella fase di sfascio politico degli italiani conseguente a tangentopoli l’SVP era sicuramente in grado di controllare oramai anche il capoluogo. Oltre al quartiere significativamente denominato “Europa” l’intervento urbanistico maggiore e’ stato quello delle ex Semirurali, ma non ci sono stati interventi particolarmente significativi relativi all’odonomastica.

Da segnalare che, in occasione della costruzione di una sede dell’amministrazione provinciale che ospita centinaia di uffici e dipendenti, l’SVP cittadina ha chiesto ed ottenuto che la strada cambiasse di denominazione, da Via del Macello – una delle grandi opere realizzate dal fascismo negli anni Trenta nel progetto della “Grande Bolzano”, citta’ capoluogo di provincia con 100.000 abitanti, spostando l’antico macello che si trovava nei pressi di Ponte Talvera ai Piani – a Via Canonico Michael Gamper, il fondatore delle Katakombenschulen durante il fascismo.

Subito dopo l’apertura della Libera Universita’ di Bolzano la piazza che ospitava l’entrata principale, intitolata a Raffaello Sernesi – pittore macchiaiolo toscano morto all’Ospedale di Bolzano nel 1866 in seguito ad una ferita riportata in combattimento nelle file garibaldine dove si era arruolato volontario contro gli Austriaci – e’ stata ribattezzata Piazza dell’universita’, mentre il cortile di accesso, ovviamente senza nome, dell’edificio che ospita il rettorato e’ stato dedicato a Franz Innerhofer, maestro sudtirolese prima vittima delle violenze fasciste nel 1921.

Il referendum sulla denominazione della Piazza della Vittoria

La questione dell’odonomastica bolzanina e’ ritornata alla ribalta, non solamente locale, nel 2002, in occasione della scelta della ultrasessantennale maggioranza cittadina SVP-Centrosinistra di cambiare il nome della Piazza della Vittoria in Piazza della Pace, come richiesto da anni dall’allora capogruppo SVP ed in seguito vicesindaco Ellecosta, che ogni anno in occasione della festa della Liberazione metteva in imbarazzo i suoi colleghi di giunta di questa strana Grosse Koalition che raggruppa anche l’UDC, Rifondazione ed i Verdi, ricordando di essere stato liberato dal fascismo, in quanto sudtirolese, l’8 settembre 1943 dai nazisti e non nell’aprile del 1945 dai partigiani o dagli Americani.

Sicuramente mantenere l’intitolazione di una piazza cittadina alla vittoria di uno dei gruppi coesistenti, coincidente con la sconfitta dell’altro, era un motivo di scontento per una parte della popolazione, nel caso specifico quella parte che e’ minoranza nazionale, maggioranza provinciale, minoranza comunale.

E’ vero che la vittoria della Grande guerra da parte italiana e’ stata precedente l’avvento del fascismo, ma e’ altrettanto vero che il Monumento alla Vittoria e’ stato costruito in pieno regime, concentrando insieme simboli patriottici, religiosi ed ideologici.

La piazza ed il monumento sono sempre stati considerati quindi i simboli dell’italianita’ e degli italiani, perche’ in questa terra l’italianizzazione e la fascistizzazione sono stati fenomeni coevi e correlati, con la creazione di simboli potenti anche se fasulli, come gli ossari nelle zone di confine dove non e’ mai morto nessuno, e quindi il cambiamento dell’intitolazione della piazza o la modifica del monumento – che se fatti immediatamente dopo la fine del regime probabilmente non avrebbero suscitato tanto clamore – era un motivo di scontento per una parte della popolazione, nel caso specifico quella parte che e’ maggioranza nazionale, minoranza provinciale, maggioranza comunale.

Certamente una scelta di questo tipo, di per se’ auspicabile, sarebbe stata condivisa dalla maggior parte della popolazione cittadina se non fosse per quel piccolo particolare, che da quasi trent’anni caratterizza la politica locale, per cui al governo insieme all’SVP nel Comune di Bolzano ed in Provincia non ci stanno i politici piu’ votati dagli altoatesini, ma quelli cooptati dal partito dei sudtirolesi, una sorta di “anatra zoppa dell’autonomia” dalle devastanti conseguenze per quanto riguarda la legittimazione politica, nonostante tutto l’impegno dei corifei della pacifica convivenza, compresi gli intellettuali e gli storici embedded.

Se la vittoria degli uni coincide con la sconfitta degli altri, scelte di questo tipo o cambiamenti radicali delle regole del gioco si possono fare solamente nelle situazioni di parita’, di equilibrio dei poteri, di pari dignita’ tra i gruppi. Oppure vanno prese come atti si’ unilaterali, ma di disarmo, non di aggressione e imposizione, e sarebbe auspicabile una presa di coscienza da parte degli altoatesini dell’assurdita’ della maggior parte della toponomastica italiana e del fatto che alcuni nomi di strade possono offendere la sensibilita’ nazionale dei sudtirolesi, come sarebbe auspicabile una presa di coscienza da parte dei sudtirolesi del fatto che la tutela delle minoranze dovrebbe accompagnarsi continuamente con la valorizzazione di tutte le minoranze, anche di quelle locali nazionalmente maggioritarie, della democrazia e dell’autonomia territoriale e progressiva.

L’esito del referendum del 2002 e’ stato chiarissimo, e le conseguenze si sono avvertite fino alle elezioni comunali del 2005, sia quelle di maggio sia quelle di novembre. L’analisi del voto referendario ed amministrativo da parte dei politici del Centrosinistra evidentemente non e’ stata molto approfondita e forse non era neppure necessaria, visto che chi continua a perdere consenso da oltre trent’anni continua ugualmente ad amministrare, pur con autorevolezza e progettualita’ sempre minori.

Nel penoso tentativo di metterci una pezza, nel gennaio 2004 il Comune di Bolzano ha deciso di installare davanti al Monumento delle targhe storiche esplicative, il cui testo, presentato orgogliosamente alla stampa dopo 6 anni di lavoro di presunti esperti e di mediazione politica, era il seguente:

«Questo monumento fu voluto nel 1928 dal regime fascista per celebrare l’annessione di questa terra all’Italia.

Essa segno’ il distacco della popolazione tedesca dalla propria madrepatria.

La citta’ di Bolzano, libera e democratica, condanna le divisioni e le discriminazioni del passato e ogni forma di nazionalismo, e si impegna a promuovere la cultura della pace e della fratellanza».

Intervistato dall’«Alto Adige» il giorno successivo, feci notare sommessamente che il testo, pur breve, conteneva tre errori in tre frasi.

Prima di tutto la posa della prima pietra del monumento era avvenuta il 12 luglio 1926, e quindi la decisione di costruire il monumento non poteva essere del 1928. Inoltre il monumento non era dedicato all’annessione dell’Alto Adige/Suedtirol all’Italia ma alla vittoria italiana nella Grande guerra.

Conseguenza della vittoria italiana fu anche l’annessione del territorio allo Stato italiano, con lo spostamento del confine da Borghetto al Brennero che segno’ il distacco dei sudtirolesi dalla madrepatria, ma anche il ricongiungimento degli italiani trentini all’Italia, mentre la frase del testo proposto indicava solamente una conseguenza, pur importante per la popolazione locale.

Nella frase finale si condannano le divisioni e le discriminazioni del passato, ma non quelle del presente ancora molto presenti, ed ogni forma di nazionalismo, dimenticando che il partito politicamente dominante da oltre 60 anni e’ un partito statutariamente etnico, che nello statuto ha ancora l’obbiettivo dell’autodeterminazione etnica.

L’intervista, pubblicata in prima pagina il 18 gennaio 2004, ha ulteriormente ridicolizzato una classe politica e dei presunti esperti storici scelti esclusivamente per ragioni di appartenenza politica, ma dalla professionalita’ assai dubbia, che da decenni ricevono incarichi con dei compensi che lasciano a bocca aperta i colleghi che vivono e lavorano nelle altre regioni d’Italia, gente che, citando misticamente Langer e la convivenza, da anni fa l’apologia della coalizione SVP/Centrosinistra nel settore storico-culturale. Conseguentemente al clamore suscitato dall’intervista in seguito l’amministrazione comunale ha modificato il testo:

“Questo monumento fu eretto durante il regime fascista per celebrare la vittoria dell’Italia nella Prima Guerra Mondiale.

Essa comporto’ anche la divisione del Tirolo e la separazione della popolazione di questa terra dalla madrepatria austriaca.

La Citta’ di Bolzano, libera e democratica, condanna le divisioni e le discriminazioni del passato e ogni forma di nazionalismo, e si impegna con spirito europeo a promuovere la cultura della pace e della fratellanza.”

L’anno successivo, in occasione delle elezioni amministrative, i 4 partiti italiani della coalizione comunale hanno perso ognuno 1 consigliere, ed al ballottaggio hanno perso le elezioni per 7 voti.

I partiti italiani della coalizione perdente alle elezioni del maggio 2005, dopo la decisione dell’SVP di non governare con il Centrodestra, dopo avere tirato un profondo sospiro di sollievo hanno tempestivamente elaborato una “Dichiarazione congiunta” nella quale si leggeva:

“I sottoscritti capigruppo del Consiglio Comunale uscente eletto l’8 maggio 2005, considerano inaccettabile la grave situazione che si e’ venuta a creare al Comune di Bolzano.

(…)

In questo senso sono molto gravi le responsabilita’ politiche del Governo e del Centrodestra che, nell’irresponsabile tentativo di condizionare la politica cittadina, hanno creato un pericoloso e incontrollabile conflitto istituzionale.

La via da seguire e’ quella del rispetto degli equilibri istituzionali e delle garanzie e del ripristino della normalita’ al piu’ presto possibile.

(…)

Con la nostra iniziativa intendiamo, inoltre, sollecitare tutte le istituzioni coinvolte, in primo luogo il Commissario per l’Amministrazione straordinaria e la Provincia, affinche’ possano tornare al centro dell’attenzione i problemi della citta’ senza perdere altro tempo prezioso e si recuperi un clima di legalita’ e di serenita’ in vista delle delicate elezioni del 6 novembre 2005.

Indichiamo pertanto le questioni prioritarie che il Comune puo’ e deve affrontare durante il periodo di commissariamento e avanziamo anche la richiesta di consultazioni periodiche da parte del Commissario e dei Sub-commissari con le forze politiche, con le Circoscrizioni e con le forze sociali della Citta’:

(…)

11. Conferma dell’impegno del Comune per garantire la convivenza tra i gruppi linguistici anche in relazione a delicate commemorazioni o alle questioni della toponomastica e della odonomastica;

(…)”

Il socio di maggioranza della coalizione, vinte le elezioni del novembre 2005 al primo turno con un vantaggio di 213 voti su 59.379 votanti, lo 0,3587126 % della popolazione ancora votante, e conquistando ulteriori quote del pacchetto azionario, visto che i partiti del Centrosinistra italiano hanno perso ulteriori voti e consiglieri, ha ringraziato tutti partecipando l’8 dicembre 2005, con l’Obmann del partito in persona – Pichler Rolle, che aveva precedentemente dichiarato di partecipare alle manifestazioni bolzanine del 25 aprile come vicesindaco di Bolzano, non come Obmann -, come non accadeva da anni, alle commemorazioni di Sepp Kerschbaumer, terrorista sudtirolese degli anni Sessanta, ricordando che ci sono sensibilita’ diverse, ma un solo popolo sudtirolese.

La manifestazione di commemorazione del terrorista sudtirolese di Frangarto si e’ svolta, come ogni anno, con un corteo popolare e di Schuetzen che ha attraversato la ridente localita’ e si e’ conclusa nella strada a lui intitolata.

Bolzano, luglio 2012.

Giorgio Delle Donne

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Bolzano, luglio 2012.

Giorgio Delle Donne

1 Articolo pubblicato in: «Il Cristallo. Rassegna di varia umanita’», LIV, 2012, n. 1, Bolzano, Centro di cultura dell’Alto Adige, pagine 21-38.

2 https://www.giorgiodelledonne.it/.

3 Giorgio Delle Donne, La storia con-divisa, in: «Il Cristallo», LIII, 2011, n. 1, Bolzano, Centro di cultura dell’Alto Adige.

4 La prima parte di questo paragrafo e’ stata in parte pubblicata in: Giorgio Delle Donne, Politica, storia & cultura all’alba del XXI secolo. Ovvero: Delle difficolta’ d’essere altoatesini in Sudtirolo, oggi, in: «Il Cristallo», XLVIII, 2006, n. 1-2, Bolzano, Centro di cultura dell’Alto Adige.