La città di Bolzano nel XX secolo

 

La città di Bolzano nel XX secolo1

La storia della città di Bolzano nel XX secolo costituisce un caso di studio unico nel panorama italiano.

Bolzano non é una delle “città di fondazione” dell’epoca fascista, come Littoria o Sabaudia, quei centri creati ex novo dal regime in località bonificate o recentemente industrializzate.

Bolzano esisteva gia’ da secoli, ma nel XX secolo, soprattutto ma non solamente nell’epoca fascista, la citta’ e’ cresciuta quantitativamente ed e’ cambiata qualitativamente in proporzione alle condizioni dell’inizio del secolo come nessun’altra citta’ italiana.

La citta’ che nel 1880 contava meno di 15.000 abitanti ha un primo grosso incremento nel 1910, quando viene annesso il Comune di Dodiciville ed un secondo nel 1926, con l’annessione del Comune di Gries. Tra le due date l’annessione al Regno d’Italia aveva determinato un cambiamento istituzionale notevolissimo, ma dal punto di vista urbanistico la citta’ alla meta’ degli anni Venti non aveva ancora subito grandi interventi.

La politica dell’Italia liberale prima e dell’Italia fascista poi non aveva incentivato la massiccia immigrazione italiana, limitandosi a favorire l’immigrazione di pochi funzionari, insegnanti e militari la prima e concentrandosi sul vano tentativo di snazionalizzare la popolazione sudtirolese la seconda. Ma nel 1927 Mussolini e’ gia’ consapevole che la politica attuata in Alto Adige non avrebbe raggiunto facilmente l’obiettivo stabilito, e decide quindi di affrontare la questione cercando di alterare gli equilibri numerici tra le popolazioni, favorendo la massiccia immigrazione italiana, in un primo momento con la creazione della Provincia di Bolzano e le ovvie conseguenze riguardanti la presenza di uffici e strutture pubbliche ed in seguito con la creazione della zona industriale di Bolzano a partire dalla seconda meta’ degli anni Trenta.

La “sostituzione” della popolazione sudtirolese optante per il Reich nel 1939 avrebbe dovuto completare il progetto su scala provinciale, ma gli imprevisti esiti plebiscitari dell’opzione prima e l’inizio della seconda guerra mondiale poi impedirono la realizzazione del progetto mussoliniano, proclamato nel 1927, di trasformare la citta’ in un capoluogo di provincia a maggioranza italiana con 100.000 abitanti, obiettivo raggiunto solamente nel 1967, visto che anche durante la prima autonomia il flusso migratorio italiano prosegui’.

La citta’ che nel 1931 aveva 40.000 abitanti ne contava 72.000 nel 1951 e 108.000 nel 1971.

Ma il cambiamento non e’ solamente quantitativo. Il borgo prevalentemente agricolo e commerciale abitato da una popolazione quasi esclusivamente tedesca – pur con una presenza rilevante di italiani di origine trentina a partire dalla fine dell’Ottocento – diventa una citta’ industriale e di servizi abitata da una popolazione prevalentemente italiana. Gli italiani, quasi esclusivamente di origine trentina, che erano circa il 10% della popolazione nel 1880 in base ai censimenti austriaci – non meno interessati a sottostimarne la presenza che altri censimenti fatti in epoche successive rispetto ad altre etnie -, diventano il 77% della popolazione nel 1971, dalle origini prevalentemente venete quelli immigrati negli anni Trenta e prevalentemente meridionali quelli immigrati dopo la guerra, occupati soprattutto nel pubblico impiego, nelle grandi fabbriche e nell’edilizia. Il trend era talmente evidente che gli studi preparatori al Piano regolatore del 1958 ipotizzavano 125.000 abitanti nel 1982 e 150.000 nel 2000.

Ma poi tutto si fermo’.

Dagli anni Settanta, conseguentemente al secondo Statuto, le competenze sono passate alla Provincia ed i primi vent’anni del nuovo Statuto sono stati caratterizzati da una interpretazione rigidamente etnica dell’autonomia, quasi revanchista rispetto agli oggettivi torti subiti nei periodi precedenti. Il teorico di questa interpretazione esclusivamente etnica dell’autonomia era Alfons Benedikter, potentissimo vicepresidente della Giunta provinciale ed assessore all’urbanistica, gia’ volontario nella Wehrmacht. Fino alla sua estromissione dalla giunta nel 1989, che lo ha portato ad abbandonare il partito iscrivendosi al partito di Eva Klotz, Benedikter ha sistematicamente bloccato lo sviluppo urbanistico della citta’, che in pochi anni ha perso oltre 10.000 abitanti. Si trattava di persone che avevano finito il periodo lavorativo iniziato nelle grandi fabbriche negli anni Trenta, che avevano sempre vissuto in Alto Adige con la logica dei “Gastarbeiter” che sognano sempre di tornare al paese per godersi la pensione e che non hanno mai cercato di integrarsi nella realta’ locale; gente di umili origini che ha dovuto affrontare il problema del bilinguismo non nei confronti della lingua tedesca, ma nei confronti della lingua italiana, cosi’ diversa dai dialetti d’origine eppur necessaria per comunicare con gli altri italiani provenienti da altre regioni. Ma anche di giovani generazioni che si sono imbattute, all’inizio del proprio percorso lavorativo, nella “proporzionale” e nel “patentino”, ai quali nessuno li aveva adeguatamente preparati, applicati in maniera rigidissima. L’emigrazione dalla citta’ di Bolzano ha portato alcune migliaia di persone nei comuni limitrofi, soprattutto Laives, ma altre migliaia di persone nelle regioni di origine.

Per capire i cambiamenti quantitativi e qualitativi della citta’ di Bolzano nel XX secolo e’ quindi importante conoscerne la storia, pensando che questa non finisce nel 1945 e che le scelte politiche non sono solamente quelle dichiarate con voce stentorea e mascella volitiva, applicate “all’italiana”, ma anche quelle attuate quotidianamente nella concezione e nella prassi monoetnica dell’autonomia, applicate “alla tedesca”. Finche’ il potere e’ rimasto nelle mani degli italiani, durante il fascismo e durante il primo Statuto, il flusso migratorio e’ stato costante. Da quando la competenza e’ provinciale, dagli anni Settanta, ed e’ stata gestita per oltre vent’anni in chiave esclusivamente etnica e spesso revanchista, il flusso e’ stato costante, ma contrario, e non ha modificato gli equilibri numerici ed etnici della sola citta’ di Bolzano. Stando ai dati dei censimenti nel 1971 in Alto Adige vivevano 138.000 italiani, 260.000 tedeschi e 15.000 ladini. Trent’anni dopo, nel 2001, vi erano 113.000 italiani (-25.000), 296.000 tedeschi (+36.000) e 19.000 ladini (+ 4.000). Nel 2007 risultavano presenti in Alto Adige 32.000 stranieri, la cui presenza era numericamente irrilevante fino agli anni Ottanta.

Ora quindi, all’inizio del XXI secolo, si pone il problema dell’integrazione di questi nuovi immigrati dopo che per decenni, anche a causa delle vicende storiche che hanno tristemente caratterizzato la realta’ locale, non e’ riuscita l’integrazione tra la popolazione italiana e quella tedesca, popolazioni che continuano a riconoscersi esclusivamente nelle istituzioni in cui sono maggioranza ed a frequentare sistemi formativi, di socializzazione e comunicativi, dalla scuola alla cultura, dallo sport ai media, ancora monolingue in una terra che avrebbe avuto ben altre potenzialita’.

Bolzano, 25 gennaio 2010.

Giorgio Delle Donne

1 Editoriale pubblicato sull’«Alto Adige» il 16 febbraio 2010.