Patrie piccole e nazionalismi grandi

 

Patrie piccole & nazionalismi grandi1

Dopo la sbornia politico-verbale delle ultime settimane conseguente al dibattito parlamentare sulla riforma costituzionale, quando, come spesso accade, la sinistra locale ha lottato insieme all’SVP, partito visto dagli etnofederalisti d’oltre-Salorno come il “partito guida” delle rivendicazioni etniche, sono andato a rileggermi il saggio di Fernando Savater “Contro le patrie”. Anche questo libro di Savater, come “Etica per un figlio” e “Politica per un figlio”, risulta utile oltre che di piacevole lettura, essendo al tempo stesso semplice e profondo.

In questa raccolta di articoli l’autore, che si definisce un anarchico moderato, gia’ militante dei gruppi della sinistra radicale degli anni Settanta, costantemente minacciato dai militanti dell’ETA per le sue critiche ai movimenti indipendentisti spagnoli che praticano anche la violenza per rivendicare l’autodeterminazione e non si dimostrano particolarmente sensibili nei confronti degli abitanti dei “loro” territori di diversa origine, ricorda che all’epoca dell’antifranchismo ogni movimento di contestazione era ingenuamente considerato antifranchista-antifascista e questo e’ stato “(…) l’origine del prestigio di cui tuttora godono i nazionalismi tra un certo pubblico di sinistra (…), e l’alibi sfruttato alla perfezione per costruire a sua volta un complesso dispositivo dove ai legittimi – anche se pesantissimi – meccanismi d’affermazione, di propaganda e di seduzione, si aggiungono quelli piu’ surrettizi della repressione ed esclusione, della produzione nei loro territori di autentiche carenze democratiche e “discriminazioni positive” (…). Questa magnifica struttura comprende la formazione e il mantenimento di una sentimentalita’ (…) che a una roboante e insopportabilmente assillante affermazione di se’ associa un odio viscerale contro il facile nemico causa di tutti i mali passati e futuri e che risponde al comodo nome di Spagna” (lo Stato nazionale, n.d.a.).

Dopo avere ricordato che il nazionalismo statale non deve necessariamente essere combattuto con altre forme di nazionalismo, magari di scala ridotta, ma da una cultura politica che accetti, apprezzi e valorizzi le differenze, anche nazionali, all’interno di un territorio, Savater ricorda che spesso le minoranze nazionali producono forme di lotta e cultura molto simili a quelle prodotte nei secoli scorsi dagli Stati nazionali per la loro affermazione, con una sostanziale differenza: mentre nel XXI secolo tutti siamo vaccinati rispetto ai danni che i nazionalismi statali hanno prodotto nei secoli scorsi e siamo consapevoli delle strumentalizzazioni, anche di classe, dei sentimenti nazionali, i sentimenti nazionali-locali, delle “piccole patrie” spesso sembrano essere naturali, cosi’ come sembravano naturali quelli nazionali-statali nei secoli scorsi. E, citando lo storico Hobsbawm, ma io potrei aggiungere Isnenghi, Lanaro e Rusconi nel panorama italiano, Savater ricorda che la liberta’ ed il pluralismo culturale sono meglio garantiti in grandi Stati democratici che valorizzano le diversita’ piuttosto che in piccoli Stati nati dalla rivendicazione etnica che hanno sempre combattuto ogni forma di “contaminazione etnica” in nome della difesa dell’identita’ culturale, a volte motivata dalla presunta necessita’ di riequilibrare torti precedentemente subiti: “Non e’ la stessa cosa rendersi indipendenti dallo Stato e fondare uno Stato indipendente. Non si curano i mali dello Stato facendone uno piu’ piccolino e poi mettendogli sopra il cappello.”

Dopo avere ricordato le differenze tra la nazione, con ambiti di riferimenti culturali, e la patria, con ambiti di riferimenti territoriali, e tra la nazionalita’ e la cittadinanza, con ambiti di riferimenti relativi ai diritti, Savater ricorda che il sentimento nazionale puo’ servire per emancipare una comunita’ dallo sfruttamento straniero, ma puo’ anche sviare l’attenzione, soprattutto delle classi popolari, dalle contraddizioni piu’ importanti, cosi’ come puo’ sottoporre le masse a nuove forme di oppressione, magari da parte di leader carismatici populisti e potentissimi che, in nome della nazione, grande o piccola che sia, naturalizzano rapporti di potere.

Ma la reazione al nazionalismo non dev’essere una societa’ senza distinzioni culturali in nome del progresso: “L’internazionalismo non ha nulla a che vedere con la omogeneizzazione multinazionale e standardizzata delle differenti comunita’: perche’ e’ nazionalista tanto chi rivendica la sua differenza solo per edificare uno Stato basato su questa differenza quanto chi sostiene uno Stato per schiacciare le differenze. (…) Ciascuna nazionalita’ minoritaria che lotta per affermarsi deve contemplare entro i suoi confini anche i diritti per le proprie minoranze, che lo sono per trasformazioni storiche altrettanto lamentevoli e degne di quelle che determinarono l’oppressione della collettivita’ in lotta.”

Ma la rivendicazione di giusti diritti non puo’ alimentarsi continuamente delle ingiustizie subi’te nel passato e nelle chimere piu’ o meno belle: “Cosi’ come la sinistra non si e’ fatta pienamente democratica fino a quando non ha abbandonato il mito della rivoluzione e della dittatura del proletariato, neanche il nazionalismo basco sara’ democratico fino a quando non cessera’ di sventolare il mito del popolo oppresso, e fino a quando non distinguera’ fra diritti irrinunciabili e progetti politici. Poniamo l’esempio dell’autodeterminazione. (…) Il diritto dei popoli a decidere di se stessi non puo’ significare nella pratica che ciascuna minoranza etnica, linguistica o religiosa disponga di uno Stato indipendente, ma che ogni minoranza possa disporre della protezione delle leggi di quello Stato di cui fa parte.”

Quindi, anche se il regionalismo cresce di pari passo e conseguentemente al cosmopolitismo – ed alla globalizzazione – e lo Stato nazionale spesso viene considerato troppo piccolo per i grandi problemi della vita e troppo grande per i piccoli problemi della vita, non sara’ certamente nelle “devoluzione” alle piccole patrie, fintamente omogenee dal punto di vista etnico, dei diritti civili e dell’elaborazione delle politiche multiculturali che potremo trovare una soluzione alle complessita’ sociali, enormi negli Stati nazionali, ma non inesistenti nelle “piccole patrie”.

E l’Alto Adige/Suedtirol e’ un ottimo esempio di buona amministrazione e di autotutela delle minoranze nazionali, ma nel settore della pari dignita’ dei gruppi non ha proprio nulla da insegnare a nessuno. Non e’ il caso comunque di condividere gli allarmismi degli ex fascisti, i quali, sostenendo che l’SVP intende cacciare tutti gli italiani dall’Alto Adige, dimostrano ancora una volta che e’ il nazionalismo piu’ che l’onanismo a rendere ciechi ed idioti. L’SVP non ha alcun interesse a cacciare tutti gli altoatesini dall’Alto Adige. Una presenza ridotta di altoatesini, con dei politici italiani cosi’ assolutamente inutili, come quelli del centrosinistra, o cosi’ dannosi, come quelli del centrodestra, risulta utile e risultera’ indispensabile nei prossimi anni per motivare l’autonomia provinciale, con i suoi finanziamenti e le sue competenze, con Roma e con Bruxelles, come i ladini veri e quelli in via di costruzione del Trentino per i trentini.

Nell’introduzione ad “Etica per un figlio” di Savater si legge semplicemente che “non e’ vero che un’etica laica, senza assoluti e senza miti, non puo’ fornire modelli educativi e politici efficaci. La moralita’ risulta soprattutto caratterizzata come autonomia, capacita’ di non sottomettersi, amore di se’ nel senso migliore, non egoista, del termine”.

Bolzano, 23 ottobre 2004. Giorgio Delle Donne

1 Editoriale pubblicato sull'”Alto Adige” il 29 ottobre 2004.