Professionisti & professionalità

 

Professionisti & professionalita’ 1

Dopo una giovinezza trascorsa ad inseguire utopie sto oramai diventando cosi’ vecchio da ritrovarmi spesso a ricordare con nostalgia la giovinezza trascorsa. Spesso quindi, quando leggo di politica sui quotidiani, mi ritorna in mente la mia adolescenza, con la militanza politica, le assemblee, i comizi.

Ricordo che uno dei primi comizi da me ascoltati si svolse al cinema Columbia, in seguito divenuto cinema a luci rosse e prossimamente sala Bingo, in Via Resia a Bolzano. Era il 1973 ed il gruppo di “Unita’ Proletaria” di Bolzano, con una decisione d’avanguardia a livello nazionale, decise di presentarsi alle elezioni comunali. Non era affatto ovvia per un movimento politico extraparlamentare una scelta di questo tipo, ma si pensava che la presenza istituzionale non fosse necessariamente antitetica, ma complementare alla pratica politica sociale. L’oratore era Vittorio Foa, uno dei “grandi vecchi” della sinistra italiana, che ora ha oltre novant’anni ed ancora interviene nel dibattito politico e culturale con la passione e la ragione che da sempre lo caratterizzano. Per la cronaca il risultato delle elezioni porto’ all’elezione di Sandro Angelucci nel consiglio comunale. Nel maggio dell’anno successivo si svolse il referendum per il divorzio, e ricordo il comizio finale in Piazza Matteotti con Lidia Menapace, altro personaggio che non riesce mai a disgiungere la passione politica con la cultura e l’impegno sociale. Spesso mi sono chiesto se la mia passione politica sarebbe stata la stessa se le mie prime partecipazioni ai comizi mi avessero portato a sentire uno di quei personaggi – e ce n’erano molti anche in quell’area politica – che urlavano slogan senza riuscire a puntare al cuore ed al cervello delle persone.

Dopo il trionfo elettorale della sinistra alle elezioni regionali del 1975, quando votarono per la prima volta anche i diciottenni, che allora erano per la maggior parte di sinistra, alle elezioni politiche del 1976 per la prima volta i gruppi della sinistra extraparlamentare si posero il problema del rapporto con le istituzioni. C’era chi predicava l'”astensionismo rivoluzionario” e chi decise di presentare un cartello elettorale dei vari movimenti chiamato “Democrazia Proletaria”. La questione del voto toccava per la prima volta anche me, e ricordo le discussioni con gli amici che teorizzavano l’astensionismo, perche’ ritenevo che il fatto di votare il meno peggio non impedisse di svolgere una pratica politica e sociale coerente. Ricordo il comizio di “Lotta Continua” nella sala di rappresentanza del Comune, con Marco Boato ed Alex Langer a sostenere la necessita’ di presentarsi alle elezioni politiche “… per portare la nostra politica nelle istituzioni, contro i professionisti della politica”.

Il primo ad entrare nelle istituzioni fu Boato e, salvo un brevissimo periodo nei primi anni Ottanta, non e’ piu’ riuscito a venirne fuori il poverino, alleandosi anche con i radicali, i socialisti craxiani, gli ex democristiani.

Il secondo fu Langer. Alle elezioni regionali del 1978 si presento’ con una lista interetnica, la “Neue Linke – Nuova Sinistra”, che prevedeva un’alternanza dei candidati italiani e tedeschi piu’ votati a meta’ legislatura. Arrivato il momento anche lui venne preso da improvviso attaccamento alla poltrona, e la polemica con Costalbano divenne personale, politica ed anche etnica, sempre motivata da nobili motivi e dalla necessita’ di non sprecare la professionalita’ acquisita nel corso del tempo nelle istituzioni, problema che oggettivamente esiste, cosi’ come esistono fin dai tempi dell’antica Grecia dei criteri per impedire che la politica divenga un affare per una e’lite di professionisti che tende a perpetuarsi, rendendosi autonoma non solamente rispetto agli elettori, ma anche rispetto al partito che l’ha eletta. Parlo di partiti ma analogo meccanismo vale anche per i “movimenti”. Alberoni ci ha spiegato la differenza tra il movimento e l’istituzione, sia sul piano politico-sociale che su quello sentimentale del rapporto tra innamoramento e amore, ma anche nei movimenti sembra spesso esserci un innamoramento alla poltrona, con la differenza sostanziale che nei partiti i centri decisionali sono ben individuabili, mentre nei movimenti il tutto e’ spesso meno chiaro, a volte piu’ subdolo e/o demagogico.

L’archivio della mia memoria mi consente anche di ricordare un esempio contrario. Ricordo l’ultimo segretario del PCI di Bolzano, Giancarlo Galletti, che nel 1990 venne a cena a casa mia per salutarmi prima di andarsene da Bolzano. “Ho fatto dieci anni full time tra sindacato e partito – mi disse – ora torno in produzione, altrimenti divento un funzionario”. E se ne ando’ ad Urbino a fare il magazziniere in un supermercato, lui, diplomato che non aveva mai pensato a garantirsi un lavoro sicuro inseguendo la passione politica. Perche’ a quei i tempi a Bolzano si diventava di sinistra per passione, non per diventare presidente dell’Azienda elettrica o per avere una poltrona del sottogoverno.

Anche le recenti polemiche tra i Verdi e sulle “quote rosa” rientrano in questo scenario.

Langer era uno che faceva finta di lasciare decidere agli altri, ma in realta’ dopo la scomparsa di Andreina Emeri era rimasto il padrone assoluto della situazione, anche per indubbi meriti oltre che per la pochezza politica delle persone che lo circondavano, che avevano con lui un rapporto che piu’ che politico era esoterico. Ma questo “autoritarismo dolcemente subdolo” era ampiamente compensato da una eccezionale cultura politica e capacita’ organizzativa e di relazione. Dopo di lui i Verdi non hanno mai voluto creare dei centri decisionali chiari, ma in nome dell’assemblearismo qualcuno decide ugualmente. Di allearsi con i democristiani e l’SVP, ad esempio, o di candidare Messner invece di Tamino, o di eliminare la Zendron, accusata di essersi venduta all’SVP pur di diventare presidente del Consiglio provinciale e contemporaneamente accusata di non avere partecipato alla campagna elettorale del 2001 – quando, con un accordo di doppia desistenza spacciato per accordo politico essenziale al centrosinistra trentino, i Verdi hanno contribuito all’elezione dell’ennesimo senatore SVP e di un altro deputato democristiano veneto imposto dai trentini senza aver avuto in cambio nulla nel settore della scuola, del censimento, della toponomastica, ecc. -, e velatamente accusata anche di essere “troppo italiana”.

“E’ necessario garantire un rinnovamento della presenza istituzionale”, dicono quelli che vorrebbero prendere il suo posto; “E’ necessario garantire una continua crescita della professionalita’ politica, che puo’ avvenire solamente nel corso del tempo”, dice chi non vuole piu’ andarsene. Esattamente come negli altri, vituperati, partiti.

Vista la mala parata, approfittando anche della contingente sentenza della Corte costituzionale relativa alle “quote rosa” della legge elettorale regionale della Valle d’Aosta, la Zendron – una delle tre consigliere regionali donne del gruppo Verde composto da tre persone (= 100 %) – auspica la creazione di una lista rosa per dare piu’ spazio alle donne in politica. Reazione imbarazzata delle donne SVP, che hanno ampiamente dimostrato la loro autonomia dal partito nominando presidente del Comitato per le pari opportunita’ la figlia di Unterberger, il boss del partito di Merano, gia’ moglie dell’onorevole Zeller.

Che le donne in politica siano sottorappresentate e’ un dato oggettivo, che questo sia una sfortuna per loro e’ tutto da dimostrare. Non auspico un ritorno ai fornelli, ma mi sembra che tutto sommato le donne che fanno carriera politica con successo perdano molti degli aspetti positivi della cultura femminile ed acquisiscano molti degli aspetti negativi della cultura maschile, in un mondo politico che sicuramente tende ad escludere le donne ma altrettanto sicuramente tende a schifare anche molti uomini normali, quelli che non sopportano la politica urlata e spettacolare, non amano esibirsi ed imporre la loro logica ed i loro rapporti di forza, quelli che hanno una mentalita’ diametralmente opposta ai maschi che dicono e soprattutto pensano che “commannare e’ mejo che fottere”.

Visto che negli ultimi cinquant’anni le donne hanno fortunatamente invaso la vita lavorativa, culturale, politica e sociale e’ ovvio che qualunque partito debba tenerne conto, se non altro per una questione di marketing, visto che sono un po’ piu’ della meta’ del corpo elettorale. Ma che le quote minime di presenza nelle liste sia prescritta per legge mi sembra semplicemente assurdo. Se un gruppo di maschi volesse fondare un partito maschilista come potrebbe presentarsi alle elezioni senza una “quota rosa” che rappresenterebbe una contraddizione rispetto al proprio programma politico?

Fantapolitica? Se qualcuno vi avesse detto, solamente venti anni fa, che dopo dieci anni si sarebbero sciolti degli storici partiti di massa come quello popolare, quello socialista e quello comunista; che sarebbe nato ed andato al governo in Italia un partito etnofederalista e che uno speculatore edilizio pluriindagato sarebbe diventato capo del governo, voi cosa avreste detto? Fantapolitica! Appunto.

Bolzano, 21 febbraio 2003.

Giorgio Delle Donne

1 Editoriale pubblicato sull'”Alto Adige” il 23 febbraio 2003.