Il vice, o chi ne fa le veci

 

Il vice, o chi ne fa le veci1

Vice, tratto dall’ablativo di “vicis”, in luogo di, primo elemento di parole composte che definiscono nomi di carica o di ufficio, indica la persona che fa o che potrebbe fare le veci del titolare della carica.

Veci, indica mutazione, avvicendamento di ruoli o mansioni che possono essere esercitate da un sostituto, in caso di assenza del titolare. Come si legge ad esempio nei moduli di giustificazione dei libretti scolastici: “firma del padre o di chi ne fa le veci”. Da non confondere con il sinonimo di “alpini in congedo”.

Il vicepresidente italiano della giunta provinciale potrebbe presiedere la giunta solamente in caso di morte improvvisa e congiunta del presidente tedesco e del vicepresidente tedesco, e se cio’ avvenisse di martedi’ li rimpiazzerebbero in tempo per evitare che possa presiedere la riunione di giunta del lunedi’ successivo.

La carica evidentemente non porta bene dal punto di vista poltico: negli ultimi vent’anni i vicepresidenti italiani della giunta provinciale sono stati Ferretti e Di Puppo: il primo ha concluso la sua carriera politica portato via da un cellulare della Questura; il secondo ha concluso la sua carriera politica portato via da un insuccesso elettorale che non si era mai visto nel panorama locale da parte di un assessore uscente ricandidato.

Ma come mai il presidente tedesco e’ l’uomo piu’ forte della provincia – ed e’ invidiato anche dai “governatori” delle province limitrofe – mentre il vicepresidente italiano e’ cosi’ jellato? E’ forse colpa di quella sorta di Legge di Murphy (o della sfiga cosmica) della politica che sembra caratterizzare oramai da anni gli altoatesini, per cui qualsiasi cosa facciano, si fanno sicuramente del male, ricordando in qualche modo la situazione dei prigionieri incaprettati i quali, tentando di liberarsi, stringono ulteriormente il nodo che li imprigiona? Ancora una volta anche la storia – ma forse sarebbe il caso di utilizzare anche la psicanalisi – puo’ aiutarci a capire alcune delle molteplici motivazioni di questa situazione.

Gli altoatesini, orfani dello Stato e della Regione, che non hanno mai espresso una classe dirigente locale che non si limitasse a gestire i rapporti con Roma o con Trento ma che si ponesse su un piano di pari dignita’, ne’ di odiosa arroganza ne’ di stupida sottomissione, con la Provincia/SVP, oramai vivono una strana condizione postmoderna, caratterizzata da un disincanto nei confronti della politica e da un rifiuto di analisi della realta’, passata, presente e futura, e ogni tanto hanno un soprassalto quando una nuova competenza passa dallo Stato, che spesso le gestiva male, alla Provincia, che le gestisce in maniera ammirevole per quanto riguarda l’efficienza, ma disdicevole per quanto riguarda la partecipazione democratica delle minoranze etniche e politiche locali.

Tutto questo e’ anche una conseguenza di uno Statuto scritto agli inizi della seconda meta’ del secolo scorso, frutto di una concezione biologica dei gruppi etnici e statica della societa’, con alcune norme allora importanti ma ora obsolete, che avrebbero dovuto avere carattere risarcitorio ma transitorio, che era funzionale ad una forma di rappresentanza politica nelle forme di grossi partiti di raccolta etnici. Con una sostanziale differenza: mentre l’SVP e’ riuscita a trasformarsi nel corso del tempo da partito di difesa e di lotta a partito di governo, la DC altoatesina, a differenza di quella trentina, non ha saputo sfruttare le rendite di posizione che lo Stato, la Regione e lo scambio politico le potevano offrire. Quando, agli inizi degli anni Ottanta, il MSI, allora antiautonomista ed antitedesco, e’ diventato il partito di raccolta degli altoatesini, e’ sorto un caso politico rilevante, ma se la DC fosse diventato il “Sammelpartei” degli altoatesini, sarebbe stata un’ovvieta’.

Da allora, alla faccia della rappresentanza e della rappresentativita’, la rappresentanza politica di governo degli altoatesini e’ formata da un coacervo di partiti/persone che hanno scarso seguito elettorale e progetti politici inconsistenti o inesistenti, ma che spesso si offrono dopo le elezioni provinciali ed amministrative con il prezzo piu’ basso al collo, “in nome della convivenza e con spirito di servizio”, come dicono quelli che una volta erano di centro, o “per evitare un patto scellerato tra l’SVP ed i fascisti, compagni”, come dicono quelli che una volta erano di sinistra, accomunati dalla ventennale emorragia di voti popolari.

Con uno Statuto, e soprattutto con un’interpretazione dello Statuto, che ha portato a dividersi etnicamente anche il “Premio della bonta’” (c’e’ sempre un premiato ladino, un sudtirolese ed un altoatesino: forse un giorno l’SVP vorra’ imporre la proporzionale anche li’, ed il centrosinistra ed AN saranno certamente d’accordo), il problema della rappresentanza politica degli altoatesini nell’era post Tangentopoli rimane tuttora da risolvere.

A livello nazionale l’SVP, partito pragmatico al cui interno sono rappresentate le diverse componenti della societa’ sudtirolese e degli orientamenti politici che, nelle altre parti del mondo, si manifestano in partiti anche molto diversi, non fa altro che mettere in evidenza la componente piu’ opportuna per rapportarsi con la maggioranza di governo a Roma, finche’ Roma ha ancora qualcosa da dire e da dare, sia essa di centrodestra o di centrosinistra, come la Thaler Ausserhofer filoforzista o Peterlini filoulivista.

Giova forse ricordare le conseguenze politiche dell’attivita’ trentennale della Commissione dei Sei e dei Dodici: tutte le competenze che passavano all’ Autonome Provinz Bozen andavano meccanicamente anche alla Provinz de Trent, e gli altoatesini che ne facevano parte avevano automaticamente il diritto, per se’ o per i propri cari politicamente simili, di avere tutte le vicepresidenze che contano – in caso di assenza del presidente, che pero’ non manca mai -, da quella della giunta provinciale in giu’. Sulle conseguenze sociali di questo baratto e gioco al ribasso eterno e’ sufficiente notare che, in una terra che spesso viene ipocritamente proposta come modello di convivenza, il 90 % dei sudtirolesi vota per un partito etnico che e’ stato per decenni nemico dichiarato dello Stato italiano, mentre il 50 % degli altoatesini vota per un partito etnico che e’ stato per decenni nemico dichiarato della Provincia tedesca. Il tutto in un clima di sospetto e di sfiducia reciproca.

Anche per questi motivi il capo si sceglie il vice e ne fa anche le veci.

Bolzano, 30 ottobre 2003.

Giorgio Delle Donne

1 Editoriale pubblicato sull'”Alto Adige” il 31 ottobre 2003.