Rappresentanza e rappresentatività

 

Rappresentanza & rappresentatività 1

Ricordo di avere incontrato il leader storico del MSI, l’avvocato Andrea Mitolo, in piazza Gries, nel maggio del 1985, pochi giorni dopo il primo clamoroso successo elettorale del suo partito, che vide migliaia di elettori ex democristiani ed anche ex comunisti votare alle elezioni comunali per il partito neofascista ed antiautonomista. “Sarete ben contenti – gli dissi – ora che avete incassato gli errori dei partiti del centrosinistra”. Lui mi rispose con il solito garbo, dicendo che a quel punto iniziavano veramente i problemi, visto che era facile organizzare le proteste politiche di piazza, ma non era altrettanto facile organizzare le proteste politiche nelle istituzioni, soprattutto, parole sue, “con persone abituate piu’ a menar le mani ed a discutere di politica all’osteria che nelle istituzioni”.

Dopo lo chock iniziale, alcuni sperarono nel doppio voto: un voto a destra, di protesta, alle amministrative ed alle provinciali, ma un voto ancora nel centrosinistra alle politiche. Ed invece, oramai da vent’anni, la maggioranza dell’elettorato altoatesino vota a destra, per un partito etnico, da sempre nemico della Provincia, mentre la maggior parte dei sudtirolesi vota a destra, per un partito etnico, da sempre nemico dello Stato, la qual cosa sarebbe sufficiente per smentire i corifei dell’autonomia.

Negli anni Ottanta e Novanta gli altoatesini hanno anticipato il recente successo elettorale della destra, per motivi eminentemente locali, ma per altri aspetti hanno seguito i trend elettorali nazionali. Pensiamo alla conseguenza dell’ “effetto Spadolini”, con l’elezione del repubblicano indigeno alle provinciali del 1983, all’ “effetto Craxi” in positivo, quando il PSI locale ha mancato il 2° consigliere provinciale per 50 voti alle provinciali del 1988, all’ “effetto Craxi” in negativo, quando il PSI locale ha perso l’unico consigliere provinciale nel 1993, all’ “effetto Bossi”, quando i leghisti locali, politicamente inesistenti, sono riusciti ad eleggere una persona che sembrava uscita dall’uovo di Pasqua.

Dopo la fine del fascismo e del nazismo gli altoatesini, a differenza degli italiani delle altre regioni d’Italia, non ebbero la possibilita’ di ricollegarsi idealmente, politicamente ed organizzativamente, alle situazioni precedenti all’avvento del fascismo, per il semplice motivo che prima di allora la presenza italiana in questa provincia era numericamente irrisoria e non organizzata. Mentre nelle altre realta’ italiane vennero quindi ricostituiti i partiti politici, in Alto Adige gli altoatesini si trovarono spiazzati. Dopo il 1945 gli altoatesini ebbero quindi con i partiti nazionali un rapporto di “franchising”, quel contratto commerciale sviluppatosi negli ultimi anni in base al quale una ditta affermata concede ad un imprenditore locale il diritto di avvalersi del proprio marchio piu’ o meno prestigioso, purche’ questo si impegni a vendere in esclusiva i prodotti dell’azienda in una sede adeguata. Finche’ questi partiti hanno avuto una politica nazionale e statale coerente e finche’ lo Stato o la Regione garantivano spazi politici nei quali muoversi con notevoli garanzie il giochino ha funzionato, e non e’ stato quindi indispensabile confrontarsi con la situazione locale piu’ di tanto. Ma quando il secondo Statuto prima e Tangentopoli poi hanno eliminato la maggior parte delle tutele della Regione e dello Stato, anche nella forma dei rapporti che potevano avere i partiti italiani nazionali/locali di maggioranza e di opposizione, gli altoatesini si sono trovati senza quella copertura necessaria per equilibrare una autonomia oramai esclusivamente sbilanciata sulla provincia/Provincia, dove i rapporti numerici, prima ancora che politici, sono quelli che sono.

Gli altoatesini, orfani dello Stato e della Regione, che non hanno mai espresso una classe dirigente locale che non si limitasse a gestire i rapporti con Roma o con Trento ma che si ponesse su un piano di pari dignita’, ne’ di odiosa arroganza ne’ di stupida sottomissione, con la Provincia/SVP, oramai vivono una strana condizione postmoderna, caratterizzata da un disincanto nei confronti della politica e da un rifiuto di analisi della realta’, passata, presente e futura, e ogni tanto hanno un soprassalto quando una nuova competenza passa dallo Stato, che spesso le gestiva male, alla Provincia, che le gestisce in maniera ammirevole per quanto riguarda l’efficienza, ma disdicevole per quanto riguarda la partecipazione democratica.

Tutto questo e’ anche una conseguenza di uno Statuto scritto agli inizi della seconda meta’ del secolo scorso, frutto di una concezione biologica dei gruppi etnici e statica della societa’, con alcune norme allora importanti ma ora obsolete, che era funzionale ad una forma di rappresentanza politica nelle forme di grossi partiti di raccolta etnici. Con una sostanziale differenza: mentre l’SVP e’ riuscita a trasformarsi nel corso del tempo da partito di difesa e di lotta a partito di governo, la DC altoatesina, a differenza di quella trentina, non ha saputo sfruttare le rendite di posizione che lo Stato, la Regione e lo scambio politico gli potevano offrire. Quando, agli inizi degli anni Ottanta, il MSI, da sempre antiautonomista ed antitedesco, e’ diventato il partito di raccolta degli altoatesini, e’ sorto un caso politico rilevante, ma se la DC fosse diventato il “Sammelpartei” degli altoatesini, sarebbe stata un’ovvieta’.

Da allora, alla faccia della rappresentanza e della rappresentativita’, la rappresentanza politica degli altoatesini e’ formata da un coacervo di partiti/persone che non hanno ne’ seguito elettorale ne’ progetti politici rilevanti, ma che si offrono dopo le elezioni provinciali ed amministrative con il prezzo piu’ basso al collo, “in nome della convivenza e con spirito di servizio”.

Con uno Statuto, e soprattutto con un’interpretazione dello Statuto, che ha portato a dividersi etnicamente anche il “Premio della bonta’” (c’e’ sempre un premiato ladino, un sudtirolese ed un altoatesino: forse un giorno l’SVP vorra’ imporre la proporzionale anche li’, ed il centrosinistra ed AN saranno certamente d’accordo), il problema della rappresentanza politica degli altoatesini nell’era post Tangentopoli rimane tuttora da risolvere.

A livello locale l’SVP, partito pragmatico al cui interno sono rappresentate le diverse componenti della societa’ sudtirolese e degli orientamenti politici che, nelle altre parti del mondo, si manifestano in partiti anche molto diversi, non fa altro che mettere in evidenza la componente piu’ opportuna per rapportarsi con la maggioranza di governo a Roma, finche’ Roma ha ancora qualcosa da dire e da dare, sia essa il centrosinistra o il centrodestra, ed alle prossime elezioni provinciali probabilmente si prendera’ in giunta esponenti di quei partiti che le potranno garantire buoni contatti con Roma.

Dopo che il centrosinistra le ha consentito di “spremere lo Stato (e la Regione, n. d. a.) come un limone” negli ultimi trent’anni, con una lenta, costante e dorata agonia quantitativa e qualitativa dei gruppi di minoranza etnica e politica locali, in futuro forse sara’ il centrodestra e sara’ la stessa cosa, ma almeno gli altoatesini saranno finalmente rappresentati dalle persone che sono state le piu’ votate negli ultimi vent’anni. Mentre ora la figura dei fessi la fanno sempre quelli del centrosinistra patetico, in futuro potrebbero farla quelli del centrodestra. Ve lo immaginate l’assessore Urzi’ andare dal vicepresidente della giunta Holzmann a dirgli che la base del partito non e’ contenta dei rapporti politici con l’SVP? E questo a rispondergli che chi si lamenta e’ un nazionalista che non ha capito l’importanza del rapporto strategico con il partito che rappresenta quasi tutti i sudtirolesi? Ed il centrosinistra a dire che il governo di Roma ha svenduto gli italiani dell’Alto Adige per cinque voti in Parlamento? E la lobby dei professionisti sessantenni che da sempre controlla la DC nelle sue diverse sfaccettature (i professionisti cinquantenni, non trovando piu’ spazi disponibili, controllano la “sinistra”) a definirsi “l’ago della bilancia”, e a teorizzare fumose formule per motivare le loro piroette politiche, dovute al fatto che, all’opposizione, “non c’e’ trippa per i gatti”?

Perche’ in questa marmellata di politica-spettacolo-amministrazione, dove si vedono piccoli pri’ncipi e non grandi princi’pi, non bisogna “Mai dire mai”, come diceva 007. E per passare dal cinema alla letteratura viene in mente Pirandello, con “Il gioco delle parti” e “Ma non e’ una cosa seria”. Chi si propone come partner all’SVP sembra interpretare “Come tu mi vuoi”. Il rapporto tra il Paro’n del maso e gli altri membri di giunta ricorda “Uno, nessuno e centomila” (preferenze). Io mi accontenterei del “Piacere dell’onesta’”, comunque “Cosi’ e’ (se vi pare)”

Bolzano, 25 marzo 2002.

Giorgio Delle Donne

1 Editoriale pubblicato sull'”Alto Adige” il 3 aprile 2002.