Bilinguismo & lingue biforcute

Bilinguismo & lingue biforcute 1

L’accelerazione della storia ed il restringimento del pianeta sono due fenomeni che caratterizzano la nostra epoca e minano le radici della comprensione degli eventi e della loro giusta collocazione spazio-temporale. Capita spesso quindi di mantenere nella propria memoria frammenti di eventi senza riuscire a collocarli nel tempo e nello spazio. Ricordo la mia adolescenza negli anni Settanta, ed il mito della Resistenza, al quale i movimenti d’opposizione cercavano di ricollegarsi idealmente. “Ora e sempre: Resistenza” si urlava nelle piazze, anche cantando “Bella ciao”. Poi ricordo di un giudice simbolo di “Mani pulite”, che ha causato una piccola ma concreta rivoluzione italiana, concludere il suo discorso d’addio alla professione affermando la necessita’ di “resistere, resistere, resistere”. Poi ricordo un anchorman televisivo che, insieme a registi e giullari, sembra essere rimasto uno dei pochi riferimenti identitari della sinistra, cantare “Bella ciao” in occasione della sua imminente defenestrazione dall’azienda nella quale nella prima e nella seconda repubblica ogni incarico o assunzione, compreso il suo, passava attraverso i partiti. Poi ricordo la Sovrintendente Rauzi affermare la necessita’ di “resistere, resistere, resistere” nei confronti di Durnwalder, e qui la memoria mi va in cortocircuito.

Ai sensi dell’art. 9 del DL n. 434 del 24 luglio 1996, nella provincia di Bolzano i responsabili della scuola sono un sovrintendente-intendente per le scuole italiane, nominato dalla Provincia d’intesa con il Ministero, un intendente per le scuole tedesche ed uno per le scuole ladine, nominati dalla Provincia sentiti i pareri del Ministero. Le nomine hanno durata quinquennale e sono rinnovabili, ma l’art. 16, di sole 4 righe, recita. “I dirigenti che alla data di entrata in vigore del presente decreto esercitano le funzioni di sovrintendente scolastico o di intendente scolastico conservano tali funzioni a tempo indeterminato”, quindi la Rauzi, Stifter e Verra rappresentano il presente ed anche il futuro della scuola altoatesina, fino al termine della loro carriera professionale, probabilmente ancora lunga. Nel caso specifico la Rauzi rappresenta anche il passato della scuola altoatesina, quando i rapporti tra Stato e Provincia erano tali da imporre un sovrintendente sicuramente italiano, visto che e’ anche intendente delle scuole italiane e l’art. 19, il “sacro testo” della scuola altoatesina, prevede che anche il personale direttivo delle scuole debba essere di madrelingua. In altre parole la Rauzi, insieme al direttore della sede RAI di Bolzano, rappresenta l’ultimo esempio di uomo di potere italodemocristiano in una provincia/Provincia dove ogni posto di potere e’ saldamente nelle mani tedescoSVP, dove le lingue politicamente biforcute sono piu’ diffuse del bilinguismo.

Nel corso degli anni Settanta, anche conseguentemente all’applicazione del Secondo statuto, la conoscenza delle lingue e’ diventata sempre piu’ importante in questa provincia. La norma d’attuazione sul bilinguismo ha trovato situazioni molto diverse nei diversi gruppi etnici, ed anche la scuola ha dovuto giocare un ruolo importante, a partire dal cambiamento della definizione della materia: non piu’ “lingua straniera” ma “seconda lingua”, con tutto cio’ che significava il prendere atto che in questa terra le tre lingue hanno pari dignita’ culturale e nessuno dei tre gruppi deve essere considerato “straniero”. Fino ad allora l’italiano nelle scuole tedesche veniva insegnato anche con un libro scritto per l’Universita’ per gli stranieri di Perugia, ed il tedesco nelle scuole superiori italiane veniva insegnato per i primi tre anni, come venivano insegnate le lingue straniere nelle altre regioni italiane.

Nella miscela di militanza politica ed impegno professionale degli anni Settanta, molti si sono impegnati per cercare di superare l’impostazione della scuola e della societa’ che il patto DC/SVP voleva imporre. E giu’ a scrivere libri di storia locale gli uni e giu’ ad insegnare la seconda lingua gli altri, accomunati dalla convinzione che, dati strumenti di comprensione storica, sociologica o linguistica, fosse possibile superare il pre-giudizio etnico ed arrivare al cuore delle contraddizioni, quelle di classe, come si diceva allora, o quelle politiche-sociali, come si direbbe oggi. Ma come mai, nonostante tutti questi sforzi, con i relativi costi anche per quanto riguarda gli investimenti nel settore culturale e scolastico, i risultati sono cosi’ scarsi? Se un’azienda fosse gestita in questo modo, con questo squilibrio tra risorse investite e risultati, sarebbe destinata al fallimento. Ora e’ chiaro che la politica non deve ragionare solamente in questi termini, ma e’ opportuno chiedersi quali sono le cause di questa situazione. E’ certo che l’esempio che ci viene proposto quotidianamente e’ quello della “vicinanza obbligata”, imposta dalla storia, continuamente svalutativa dell’altro nei discorsi quotidiani, nei messaggi dei mass media, negli esempi della politica, che continua a parlare di convivenza mantenendo continuamente alto il livello di pre-tensione etnica nei confronti dell’altro, nel settore della toponomastica come in mille altri settori, riproponendo continuamente una autonomia dei gruppi etnici minoritari, quelli nazionali e quelli locali, i quali non riescono in questo modo a rapportarsi liberamente con il proprio passato, ne’ tanto meno con il passato degli altri, incolpando sempre l’altro gruppo dell’origine di ogni problema. In questo modo i diritti vengono riconosciuti solamente in quanto appartenenti, o aggregati, ai gruppi statutariamente riconosciuti, e non si discute nemmeno dei mistilingui che, secondo il paro’n del maso, non esistono o sono “briciole che non si possono contare” nei censimenti.

Questa mentalita’ che riconosce le quantita’ dei diritti civili in base all’anzianita’ di residenza e’ quella che fa dire alla maggioranza dei sudtirolesi che sono loro, i primi arrivati, che devono decidere come si studiano le lingue in questa terra, anche nelle scuole degli italiani, ed e’ la stessa logica che fa dire alla maggioranza degli altoatesini che i gruppi di recente immigrazione devono accettare incondizionatamente le regole locali, altrimenti possono/devono andarsene.

Per questi motivi la richiesta di riconoscimento della presenza di altri gruppi etnici, da verificare nel censimento, che per essere veritiero deve essere anonimo, e la richiesta di una scuola bi/plurilingue, non solamente per i figli delle famiglie bilingui ma per tutti quelli che lo desiderano, da affiancare al sistema scolastico esistente, non e’ solamente una questione di principio, ma puo’ essere un segnale forte per dimostrare che questa autonomia puo’ essere condivisa da tutti e trasformarsi in un Verfassungspatriotismus, un patriottismo costituzionale che potrebbe unire lealmente gruppi che finora coesistono ma non convivono. Non sarebbe una rivoluzione politica, ma una rivoluzione culturale, profonda, per la quale impegnarci nei prossimi decenni, dentro e fuori la scuola, con un sistema formativo integrato che comprenda la scuola, la formazione professionale, l’educazione permanente, l’universita’, per farci capire che l’autonomia dinamica non significa solamente dare piu’ competenze alla Provincia/SVP senza discutere di come queste competenze sono attuate nei confronti delle minoranze linguistiche e politiche locali, e per farci capire che le competenze provinciali sulla scuola non devono necessariamente trasformarsi in un neocentralismo locale, ancora piu’ odioso perche’ imposto in nome dell’autonomia.

Il tema delle scuole bilingui e del diritto di rivendicare identita’ plurime, complesse, concentriche e dinamiche dovrebbe distinguere chi ha una visione democratica dell’autonomia da chi ha una visione esclusivamente etnica della societa’, e va incontro al futuro guardando solamente al passato.

Chi ha le competenze nel settore scolastico dovrebbe prendere atto di questi cambiamenti: del fatto che le scuole italiane in molti centri della periferia sopravvivono solamente per la presenza degli extracomunitari, il 90% dei quali e’ iscritto nelle scuole italiane; che i figli delle famiglie miste sono iscritti per il 90% nelle scuole tedesche; che molte famiglie italiane iscrivono i propri figli nelle scuole tedesche, applicando una full immersion totale; del fatto che l’integrazione e l’assimilazione sono concetti ben distinti.

Nel n. 6 del bollettino della CGIL-scuola altoatesina si ricorda che la in Friuli la destra italiana, ossessionata da paranoie identitarie – perche’, come si leggeva in una vignetta di Altan, “Piu’ uno e’ nessuno, piu’ e’ geloso della sua identita’” – ostacola la creazione di scuole bilingui da affiancare al sistema scolastico vigente e la CGIL lotta contro questa visione etnocentrica. Qui al paese la CGIL e’ entrata in giunta senza riuscire a spostare di un millimetro la posizione dell’SVP su questo problema. Il padrone del maso in una intervista ha dichiarato che l’Universita’, che il suo partito non ha voluto per 50 anni ed ha istituito solamente nel momento in cui era indiscutibile il suo controllo da parte del potere politico locale, non deve svolgere attivita’ di ricerca, ma solamente di didattica, mentre la ricerca deve essere svolta solamente dall’Accademia Europea, voluta da Lui(s) e dal suo partito anche per impressionare favorevolmente i giornalisti stranieri che non hanno il tempo o la voglia di andare a cercare e fotografare le scuole con i cortili etnicamente separati dal filo spinato.

Bolzano, 3 luglio 2002.

Giorgio Delle Donne

1 Editoriale pubblicato sull'”Alto Adige” il 20 luglio 2002.