Amnistia & amnesia

Amnistia & amnesia 1

Tra le numerose pubblicazioni riguardanti l'”uso pubblico della storia” e la produzione delle memorie collettive, uscite non a caso negli ultimi dieci anni, cosi’ devastanti nel settore, spesso si trovano riferimenti a ricerche dello psicologo russo Romanovitch, uno dei piu’ importanti studiosi della memoria individuale. Romanovitch pubblico’ numerosi casi clinici da lui affrontati, tra i quali si trovano “L’uomo con un mondo frantumato”, la storia di un uomo ferito alla testa durante la guerra mondiale, che non era piu’ in grado di ricordare nulla, e “La mente di uno mnemonista”, la storia di un uomo che non era in grado di dimenticare nulla.

Sicuramente esistono grosse differenze tra le memorie individuali e le memorie collettive, le loro produzioni e conservazioni, ma esistono anche grosse analogie, e non credo che le memorie collettive, come quelle individuali, possano esistere e vivere normalmente in situazioni simili a questi due casi estremi. L’uomo ed il gruppo sono il continuo risultato di ricordo ed oblio e del lavoro continuo, anche se non sempre cosciente, di rielaborazione del passato sulla base di quello che e’ successo in seguito, della situazione presente e dei progetti riguardante il futuro, se ce ne sono, e non a caso l’interesse per la storia e’ proporzionale a quello per il futuro.

E’ interessante anche il rapporto tra l’amnesia, l’incapacita’ temporanea o permanente di ricordare, e l’amnistia, il provvedimento di clemenza che viene concesso in particolari realta’ e situazioni, come nell’antica Grecia nelle situazioni in cui era necessario ricostruire un tessuto sociale, o un fausto evento in una casa regnante nelle monarchie di un tempo o la vittoria della squadra di calcio ai mondiali del 1982, come nella repubblica italiana dell’epoca, anche se solamente per i casi di illecito sportivo.

Qui al paese ultimamente si e’ discusso molto di amnistie e della necessita’ di resettare il rapporto con il passato per costruire nuovi scenari futuri, anche a partire da cambiamenti odonomastici.

Il terrorismo sudtirolese degli anni Cinquanta e Sessanta e’ stata una delle forme di resistenza attuate dalla minoranza sudtirolese nei confronti dello Stato italiano. La minoranza sudtirolese, annessa contro la sua volonta’ allo Stato italiano nel 1919, ha conosciuto, dall’annessione agli anni Sessanta, la contraddittoria politica attuata dai deboli governi liberali del primo dopoguerra, la persecutoria politica svolta dal forte governo della dittatura fascista e, dopo la parentesi dell’Alpenvorland, la contraddittoria politica praticata dai governi centristi del secondo dopoguerra.

Tutti i tentativi attuati, manifestamente o subdolamente, dai vari governi per cercare di italianizzare il territorio e/o la popolazione sono fortunatamente miseramente falliti, e l’unica conseguenza concreta si e’ manifestata e si manifesta nel disprezzo, comprensibile, nei confronti dello Stato italiano, anche di quello democratico ed a prescindere dalle politiche attuate, e nel conseguente disprezzo, non sempre giustificato, nei confronti della popolazione di lingua italiana, a prescindere dalle articolazioni di classe, politiche e culturali in essa presenti.

Le date periodizzanti del 1919, 1922, 1943, 1948 e 1972, corrispondenti all’annessione, all’avvento del fascismo, all’occupazione/liberazione nazista, all’emanazione del primo Statuto di autonomia, a carattere fortemente regionale, ed all’emanazione del secondo Statuto di autonomia, a carattere fortemente provinciale, hanno ampiamente dimostrato che, in questa regione da sempre plurilingue, chi gestisce il potere, anche dopo una lunga situazione di dominio subi’to, lo esercita con una logica quantomeno centralista ed a volte revanscista, confermando purtroppo la famosa affermazione di Mussolini, secondo il quale le situazioni ed i problemi delle minoranze non si possono risolvere, ma solamente capovolgere.

La decisione del Presidente della Repubblica del 1998 di concedere la grazia a persone che hanno commesso reati di tipo politico, ma non si sono macchiati di gravi “fatti di sangue”, e’ stata una chiara e giusta indicazione della necessita’ di chiudere dei periodi storici cosi’ lontani cronologicamente, ma soprattutto politicamente. Gli italiani dell’Alto Adige devono rendersi conto che senza il Los von Trient ed il terrorismo i sudtirolesi non avrebbero potuto autoamministrarsi all’interno dell’autonomia regionale applicata centralisticamente dai trentini, e devono smetterla di rimpiangere lo Stato centralista o la Regione centralista che ha sempre tentato, spesso vanamente, di portare avanti politiche che ledevano gravemente la possibilita’ di autogoverno dei sudtirolesi e non sempre hanno tutelato gli altoatesini. Senza questa presa di coscienza non solo non si comprende l’attuale atteggiamento dei sudtirolesi nei confronti dello Stato e della Regione, ma diventa compiacente vittimismo la giusta lamentela contro l’attuale centralismo provinciale e la politica revanscista proposta da quegli esponenti dell’SVP che pretendono di cancellare o ridurre drasticamente la minoranza italiana provinciale, proponendo esclusivamente un rapporto basato sugli equilibri numerici tra le popolazioni locali che, se applicati all’ambito statale, avrebbe di fatto cancellato la minoranza nazionale sudtirolese.

E’ necessario prendere atto, storicamente e politicamente, delle cause che hanno portato al fallimento dello Statuto del 1948 tra i sudtirolesi ed al fallimento dello Statuto del 1972 tra gli altoatesini. Le analogie/simmetrie si fermano a questo punto. I sudtirolesi, negli anni Cinquanta/Sessanta, costituivano una societa’ premoderna e prepolitica che, nel corso dei 40 anni precedenti, non aveva conosciuto altro che una politica di offesa e difesa etnica, che ha saputo lottare per difendere i propri diritti, sacrificando pero’ alla difesa etnica quel pluralismo politico e culturale che i veri autonomisti altoatesini tuttora attendono, forse invano. Gli altoatesini, negli anni Ottanta/Novanta, costituivano una societa’ postmoderna e postpolitica che, nel corso dei 40 anni precedenti, non si era mai posta il problema di creare una leadership locale nel settore politico e culturale, considerandosi lo Staatsvolk e senza porsi quindi il problema dell’autonomia e dei problemi che sarebbero sorti con il passaggio delle competenza alla Provincia/provincia, dove gli altoatesini sono, quantitativamente ma soprattutto qualitativamente, la vera minoranza, non a caso in continuo calo a partire dall’emanazione dello Statuto del 1972. Una societa’ postpolitica che non crede piu’ che le proprie condizioni individuali e collettive possano essere spiegate dalla storia e risolte dalla politica.

Mentre l’SVP e’ riuscita a trasformarsi nel corso del tempo da partito di difesa e di lotta a partito di governo, la DC altoatesina, a differenza di quella trentina, non ha saputo sfruttare le rendite di posizione che lo Stato, la Regione e lo scambio politico gli potevano offrire nella fase di attuazione dello Statuto del 1972. Quando, agli inizi degli anni Ottanta, il MSI, da sempre antiautonomista ed antitedesco, e’ diventato il partito di raccolta degli altoatesini, e’ sorto un caso politico rilevante, ma se la DC fosse diventato il “Sammelpartei” degli altoatesini, sarebbe stata un’ovvieta’.

Gli avvenimenti storici del secondo dopoguerra e l’attuale assoluta incapacita’ degli altoatesini di rapportarsi con la maggioranza locale/minoranza nazionale con delle proposte che non siano caratterizzate dal servilismo o dal nazionalismo non lasciano spazio ad eccessivi ottimismi. C’e’ solamente da sperare che i sudtirolesi, che giustamente venivano difesi, di fronte ai tribunali, da legali di sinistra, quando erano accusati dei reati di vilipendio alla nazione o vilipendio alla bandiera, non debbano difendersi, di fronte alla storia, dal reato di vilipendio di cadavere.

Da oltre vent’anni, alla faccia della rappresentanza e della rappresentativita’, la rappresentanza politica di governo degli altoatesini e’ formata da un coacervo di partiti/persone che non hanno ne’ seguito elettorale ne’ progetti politici rilevanti, ma che si offrono dopo le elezioni provinciali ed amministrative con il prezzo piu’ basso al collo, “in nome della convivenza e con spirito di servizio”, cooptati in giunta dal partito etnico tedesco che sceglie, a suo insindacabile giudizio, quali debbono essere i rappresentanti politici degli altoatesini, non vuole trasformare l’autonomia etnica in autonomia territoriale e piazza personaggi improponibili come dei mastini da guardia nelle situazioni in cui non e’ maggioranza, come il consiglio comunale di Bolzano o il consiglio regionale.

Dopo l’anamnesi passiamo pure all’amnistia, ma senza amnesie e atteggiamenti recidivi.

Bolzano, 27 settembre 2002.

Giorgio Delle Donne

1 Editoriale pubblicato sull'”Alto Adige” il 29 settembre 2002.