Storia del terrorismo & terrorismo della storia

La storia del terrorismo e il terrorismo della storia 1

Nel 40° anniversario della Notte dei fuochi, quando, in coincidenza con le celebrazioni del Sacro cuore di Gesu’, il cattolicissimo movimento terrorista sudtirolese organizzo’ oltre 30 episodi terroristici in una sola notte, puo’ essere utile ricordare quegli avvenimenti che segnarono in maniera indelebile la storia locale. A partire dalla meta’ degli anni Cinquanta e fino alla meta’ degli anni Sessanta complessivamente vennero realizzati oltre 350 episodi terroristici contro i simboli dello Stato italiano, in una escalation di violenza che giunse a colpire anche le vite umane.

Dopo il periodo dell’Alpenvorland, nel quale per la prima volta gli altoatesini si trovarono, isolati, a fare i conti con il sentimento nazionale dei sudtirolesi, che cozzava con la cittadinanza loro imposta con la forza, probabilmente in quel frangente gli altoatesini si resero nuovamente conto di avere a che fare con un movimento politico estremamente determinato ed articolato, che si muoveva sia sul piano politico/pubblico/legale che su quello politico/militare/clandestino.

Una riflessione pubblica su quegli episodi puo’ essere utile per meglio capire come ci troviamo qui, ora.

Il terrorismo sudtirolese degli anni Cinquanta e Sessanta e’ stata una delle forme di resistenza attuate dalla minoranza sudtirolese nei confronti dello Stato italiano. La minoranza sudtirolese, annessa contro la sua volonta’ allo Stato italiano nel 1919, ha conosciuto, dall’annessione agli anni Sessanta, la contraddittoria politica attuata dai deboli governi liberali del primo dopoguerra, la persecutoria politica svolta dal forte governo della dittatura fascista e, dopo la parentesi dell’Alpenvorland, la contraddittoria politica praticata dai governi centristi del secondo dopoguerra.

Tutti i tentativi attuati, manifestamente o subdolamente, dai vari governi per cercare di italianizzare il territorio e/o la popolazione sono fortunatamente miseramente falliti, e l’unica conseguenza concreta si e’ manifestata e si manifesta nel disprezzo, comprensibile, nei confronti dello Stato italiano, anche di quello democratico ed a prescindere dalle politiche attuate, e nel conseguente disprezzo, non sempre giustificato, nei confronti della popolazione di lingua italiana, a prescindere dalle articolazioni di classe, politiche e culturali in essa presenti.

Le date periodizzanti del 1919, 1922, 1943, 1948 e 1972, corrispondenti all’annessione, all’avvento del fascismo, all’occupazione/liberazione nazista, all’emanazione del primo Statuto di autonomia, a carattere fortemente regionale, ed all’emanazione del secondo Statuto di autonomia, a carattere fortemente provinciale, hanno ampiamente dimostrato che, in questa regione da sempre plurilingue, chi gestisce il potere, anche dopo una lunga situazione di dominio subi’to, lo esercita con una logica quantomeno centralista ed a volte revanscista, confermando purtroppo la famosa affermazione di Mussolini, secondo il quale le situazioni ed i problemi delle minoranze non si possono risolvere, ma solamente capovolgere.

La decisione del Presidente della Repubblica del 1998 di concedere la grazia a persone che hanno commesso reati di tipo politico, ma non si sono macchiati di gravi “fatti di sangue”, e’ stata una chiara e giusta indicazione della necessita’ di chiudere dei periodi storici cosi’ lontani cronologicamente, ma soprattutto politicamente. Gli italiani dell’Alto Adige devono rendersi conto che senza il Los von Trient ed il terrorismo i sudtirolesi non avrebbero potuto autoamministrarsi all’interno dell’autonomia regionale applicata centralisticamente dai trentini, e devono smetterla di rimpiangere lo Stato centralista o la Regione centralista che ha sempre tentato, spesso vanamente, di portare avanti politiche che ledevano gravemente la possibilita’ di autogoverno dei sudtirolesi e non sempre hanno tutelato gli altoatesini. Senza questa presa di coscienza non solo non si comprende l’attuale atteggiamento dei sudtirolesi nei confronti dello Stato e della Regione, ma diventa compiacente vittimismo la giusta lamentela contro l’attuale centralismo provinciale e la politica revanscista proposta da quegli esponenti dell’SVP che pretendono di cancellare o ridurre drasticamente la minoranza italiana provinciale, proponendo esclusivamente un rapporto basato sugli equilibri numerici tra le popolazioni locali che, se applicati all’ambito statale, avrebbe di fatto cancellato la minoranza nazionale sudtirolese.

E’ necessario prendere atto, storicamente e politicamente, delle cause che hanno portato al fallimento dello Statuto del 1948 tra i sudtirolesi ed al fallimento dello Statuto del 1972 tra gli altoatesini. Le analogie/simmetrie si fermano a questo punto. I sudtirolesi, negli anni Cinquanta/Sessanta, costituivano una societa’ premoderna e prepolitica che, nel corso dei 40 anni precedenti, non aveva conosciuto altro che una politica di offesa e difesa etnica, che ha saputo lottare per difendere i propri diritti, sacrificando pero’ alla difesa etnica quel pluralismo politico e culturale che i veri autonomisti altoatesini tuttora attendono, forse invano. Gli altoatesini, negli anni Ottanta/Novanta, costituivano una societa’ postmoderna e postpolitica che, nel corso dei 40 anni precedenti, non si era mai posta il problema di creare una leadership locale nel settore politico e culturale, considerandosi lo Staatsvolk e senza porsi quindi il problema dell’autonomia e dei problemi che sarebbero sorti con il passaggio delle competenza alla Provincia/provincia, dove gli altoatesini sono, quantitativamente ma soprattutto qualitativamente, la vera minoranza, non a caso in continuo calo a partire dall’emanazione dello Statuto del 1972. Una societa’ postpolitica che non crede piu’ che le proprie condizioni individuali e collettive possano essere spiegate dalla storia e risolte dalla politica.

Mentre l’SVP e’ riuscita a trasformarsi nel corso del tempo da partito di difesa e di lotta a partito di governo, la DC altoatesina, a differenza di quella trentina, non ha saputo sfruttare le rendite di posizione che lo Stato, la Regione e lo scambio politico gli potevano offrire nella fase di attuazione dello Statuto del 1972. Quando, agli inizi degli anni Ottanta, il MSI, da sempre antiautonomista ed antitedesco, e’ diventato il partito di raccolta degli altoatesini, e’ sorto un caso politico rilevante, ma se la DC fosse diventato il “Sammelpartei” degli altoatesini, sarebbe stata un’ovvieta’.

Gli avvenimenti storici del secondo dopoguerra e l’attuale assoluta incapacita’ degli altoatesini di rapportarsi con la maggioranza locale/minoranza nazionale con delle proposte che non siano caratterizzate dal servilismo o dal nazionalismo non lasciano spazio ad eccessivi ottimismi. C’e’ solamente da sperare che i sudtirolesi, che giustamente venivano difesi, di fronte ai tribunali, da legali di sinistra, quando erano accusati dei reati di vilipendio alla nazione o vilipendio alla bandiera, non debbano difendersi, di fronte alla storia, dal reato di vilipendio di cadavere.

Nel considerare il rapporto tra passato e presente si deve prendere atto che i processi politici e sociali hanno durate e ricadute diverse fra i molteplici gruppi che caratterizzano anche territori molto piccoli e che l’accelerazione dei fenomeni sociali cambia continuamente, ad un ritmo sempre piu’ intenso, le caratteristiche dei territori e delle popolazioni. Non solamente i terroristi degli anni Sessanta graziati hanno trovato un Sudtirolo giustamente autonomo e profondamente cambiato, soprattutto per quanto riguarda la ricchezza materiale, ma anche i terroristi politici italiani degli anni Settanta, se uscissero dalle carceri, troverebbero un Paese profondamente cambiato, non solamente nelle caratteristiche sociali ma anche nella mentalita’ collettiva profonda. Le cesure periodizzanti sono oramai molteplici e costituiscono dei confini estremamente mobili e mutevoli.

Per evitare giudizi sommari la conoscenza della storia deve caratterizzare il lavoro quotidiano di tutte le persone impegnate nella formazione dell’opinione pubblica, dagli insegnanti ai giornalisti, evitando facili semplificazioni e cortocircuiti dei discorsi storici/politici, anche se, purtroppo, sappiamo come si e’ sviluppata in seguito la storia. L’importanza della conoscenza della particolarissima storia locale risulta evidente non solamente verificando gli avvenimenti storici, ma semplicemente analizzando l’evidente divisione etnica del lavoro e del territorio provinciale e le sue caratteristiche sociologiche, soprattutto ma non esclusivamente nel rapporto citta’/campagna. La storia locale non deve avere carattere sostitutivo, ma integrativo rispetto alla conoscenza della storia dello stato e del sistema/mondo nel quale questo territorio era ed e’ inserito, ed e’ compito di chi forma l’opinione pubblica cercare l’integrazione tra le culture, non lo scontro o l’assimilazione dei gruppi nazionalmente o localmente minoritari.

A prescindere dalle diverse valutazioni dei molteplici aspetti dei problemi (pensiamo, per quanto riguarda il terrorismo, al ruolo a mio avviso determinante del terrorismo per l’emanazione di una autonomia provinciale, o al ruolo dei servizi segreti, non solamente italiani, all’epoca della Guerra fredda, ecc.) ed auspicando una piena, anche se utopica, disponibilita’ delle fonti archivistiche di stati e partiti coinvolti, gli storici devono impegnarsi nella ricostruzione e nella divulgazione delle conoscenze relative al passato senza timore di confrontarsi con argomenti scottanti, nella consapevolezza che in questo territorio il ruolo di carnefice e vittima, maggioranza e minoranza, nelle diverse date periodizzanti del XX secolo, fortunatamente o sfortunatamente e’ stato giocato sia dagli italiani/altoatesini che dai tedeschi/sudtirolesi. Per questo motivo e’ semplicemente ridicolo proporre la patetica ricerca di storie condivise, ma e’ fondamentale considerare la storia del XX secolo oramai come la storia del secolo scorso. Anche la storia del terrorismo puo’ contribuire a liberarci dal terrorismo della storia.

Bolzano, 10 giugno 2001.

Giorgio Delle Donne

1 Editoriale pubblicato sull'”Alto Adige” il 12 giugno 2001.