Partiti in franchising

Partiti in franchising 1

Se i due maggiori schieramenti politici non sono riusciti a trovare uno straccio di candidato locale per il collegio uninominale di Bolzano, l’unico nel quale un italiano ha la possibilita’ di vincere, non e’ solamente per quella sorta di Legge di Murphy (o della sfiga cosmica) della politica che sembra caratterizzare oramai da anni gli altoatesini, per cui qualsiasi cosa facciano, si fanno sicuramente del male, ricordando in qualche modo la situazione dei prigionieri della garrotta i quali, tentando di liberarsi, stringono ulteriormente il nodo che li imprigiona. Ancora una volta anche la storia puo’ aiutarci a capire alcune delle molteplici motivazioni di questa situazione.

Dopo la fine del fascismo e del nazismo gli altoatesini, a differenza degli italiani delle altre regioni d’Italia, non ebbero la possibilita’ di ricollegarsi idealmente, politicamente ed organizzativamente, alle situazioni precedenti all’avvento del fascismo, per il semplice motivo che prima di allora la presenza italiana in questa provincia era numericamente irrisoria e non organizzata. Mentre nelle altre realta’ italiane vennero quindi ricostituiti i partiti politici, in Alto Adige gli altoatesini si trovarono spiazzati.

Gia’ dopo il luglio del 1943 il quotidiano locale, che aveva tempestivamente eliminato il sottotitolo “Organo del Partito Nazionale Fascista”, aveva ospitato una interessante lettera di Teseo Rossi, avvocato socialista istriano, abitante a Bolzano dalla fine degli anni Venti, sul possibile futuro degli altoatesini senza la protezione del regime, ma la situazione degenero’ dopo l’8 settembre.

Dopo il 1945 gli altoatesini ebbero quindi con i partiti nazionali un rapporto di “franchising”, quel contratto commerciale sviluppatosi negli ultimi anni in base al quale una ditta affermata concede ad un imprenditore locale il diritto di avvalersi del proprio marchio piu’ o meno prestigioso, purche’ questo si impegni a vendere in esclusiva i prodotti dell’azienda in una sede adeguata.

Finche’ questi partiti hanno avuto una politica nazionale e statale coerente e finche’ lo Stato o la Regione garantivano spazi politici nei quali muoversi con notevoli garanzie il giochino ha funzionato, e non e’ stato quindi indispensabile confrontarsi con la situazione locale piu’ di tanto. Ma quando il secondo Statuto prima e Tangentopoli poi hanno eliminato la maggior parte delle tutele della Regione e dello Stato, anche nella forma dei rapporti che potevano avere i partiti italiani nazionali/locali di maggioranza e di opposizione, gli altoatesini si sono trovati senza quella copertura necessaria per equilibrare una autonomia oramai esclusivamente sbilanciata sulla provincia/Provincia, dove i rapporti numerici, prima ancora che politici, sono quelli che sono. La “Quietanza liberatoria”, ironia della sorte, e’ arrivata al destinatario, lo Stato italiano, quando questo, dopo avere cambiato decine di ministri e di funzionari dal momento dell’elaborazione del Pacchetto, di fatto ha perso quel minimo di credibilita’ che ancora aveva da parte dei propri cittadini e che comprensibilmente non ha mai avuto da parte delle minoranze, soprattutto quella sudtirolese.

Una delle questioni attuali preliminari che ha impedito la candidatura degli esponenti politici presenti nel Consiglio provinciale era il problema dei “primi dei non eletti”.

La Margherita non poteva rischiare di lasciare il posto di Di Puppo, che prima di Tangentopoli era un emerito sconosciuto e quindi era una delle poche facce presentabili alle elezioni provinciali del 1993, le prime dopo Ferrettopoli, al primo dei non eletti, Stablum, che della vecchia DC era uno dei visi piu’ tristemente noti.

I Diessini non potevano rischiare di lasciare il posto della Gnecchi, che dopo decenni di urla sindacali sembra essere rimasta improvvisamente senza voce (sara’ un male di stagione o un virus che colpisce inesorabilmente tutti gli italiani che entrano in giunta o che ambiscono ad entrarci?) al primo dei non eletti, Margheri, che ricorda ancora troppo un’immagine di partito piu’ di lotta che di governo.

I postfascisti non potevano rischiare di lasciare il posto di Holzmann, che dopo decenni di urla contro i tedeschi invece che contro l’SVP e contro l’autonomia invece che contro l’uso distorto che di questa e’ stato fatto ora ambisce giustamente ad entrare in giunta, visto che da 20 anni il suo partito e’ il piu’ votato dagli altoatesini, al primo dei non eletti, Ianieri, che si contenderebbe la palma del piu’ silenzioso ed inutile dei consiglieri provinciali con Lo Sciuto, che zitto zitto attende l’esito delle elezioni politiche per prendere il posto come presidente del Consiglio provinciale, in caso di vittoria del Polo, della Zendron, che verrebbe cosi’ trombata una seconda volta nella sua vita. Politicamente parlando, si intende.

Anche questa sindrome dei “primi dei non eletti” contribuisce allo studio psicosociale di quelle strane alleanze politico-individuali che si realizzano in occasione delle elezioni. Prendiamo il caso delle elezioni provinciali. Prima di tutto si mettono insieme persone che spesso si disprezzano, proprio perche’ si conoscono bene. Poi, con delle sedute di gruppo animate da leader carismatici, questi si convincono del sicuro successo elettorale del gruppo, ed anche l’ultimo arrivato e’ convinto di riuscire a farcela. In seguito, quando i risultati delle elezioni li fanno confrontare con la dura realta’, che non consente ad uno dei gruppi provinciali minoritari della consistenza di circa 100.000 persone che si presenta diviso in dieci liste di avere piu’ di un consigliere provinciale, e non per tutti, per una ferrea e crudele legge matematica, ricominciano a disprezzarsi e a sputtanarsi socialmente ancora piu’ di prima, perche’ la conoscenza reciproca si e’ nel frattempo arricchita di ulteriori elementi. Il tutto fino alle elezioni successive.

Il candidato dei Verdi, il quale, essendo arrivato qui al paese da poco, ha quell’atteggiamento tipico di chi scopre l’acqua calda, nella presa di posizione seguita alla candidatura di Bressa ha scritto su questo giornale di essere rimasto molto deluso dall’esito delle trattative, ma di essere rimasto addirittura costernato quando, all’interno della sede SVP, l’accordo e’ stato fatto dai padroni di casa e dagli esponenti dell’Ulivo trentino.

Mi ha ricordato, poverino, lo spot dei servizi bancari postali, quelli che, dopo una situazione assolutamente prevedibile ed un’espressione tautologica, terminano con l’espressione “Bella scoperta!”

Cos’altro puo’ dire nella campagna elettorale il candidato dell’Ulivo, oltre che vantarsi di tutto quello che ha fatto al carro dell’SVP con e per i suoi colleghi trentini, lui, bellunese che comprensibilmente ambisce ad avere per la sua provincia gli stessi privilegi dei trentini, senza l’handicap delle questioni etniche e senza il particolare non propriamente secondario di essere in balia assoluta dell’SVP?

Cos’altro puo’ dire nella campagna elettorale il candidato del Polo, oltre che vantarsi di tutto quello che ha tentato di fare contro i tentativi dell’SVP di andare oltre la lettera dello Statuto, in una concezione dell’autonomia sempre e solamente etnica e spesso revanchista, lui, esponente di quella coalizione politica che comprende un partito che vede giustamente nel sistema Provincia/SVP un modello di etnofederalismo populista?

Bolzano, 10 febbraio 2001.

Giorgio Delle Donne

1 Editoriale pubblicato sull'”Alto Adige” il 13 febbraio 2001.