Storie di storia

Storie di storia 1

La recente polemica seguita alla decisione del Consiglio regionale del Lazio di istituire una commissione per scegliere i manuali di storia da epurare ripropone, come spesso accade, questioni antiche in ambiti nuovi.

A parte le ovvie considerazioni sulla competenza del Consiglio regionale, che per ora non esiste, il fatto e’ indicativo di come un certo tipo di autonomismo, se impostato in chiave etnofederalista, neocentralista ed antidemocratico, puo’ farci rimpiangere il centralismo statale che, anche in piena Guerra fredda, non ha mai raggiunto certi livelli di intolleranza.

Altra questione gia’ ampiamente dibattuta e’ quella relativa alla scientificita’ della storia.

Personalmente non ho mai creduto neppure alla neutralita’ della scienza, ne’ tanto meno credo alla neutralita’ della storia, pur consapevole che esistono diversi metodi di analisi ed esiste ovviamente anche un rigore scientifico nella ricerca storiografica. Le scelte non sono mai neutrali. Nella ricerca storica, ad esempio, la scelta dell’argomento, della periodizzazione e della localizzazione puo’ essere determinante. Se proponessi una ricerca storica-sociologica sul problema dei rapporti tra i gruppi etnici in Alto Adige nel XX secolo, con particolare riferimento ai concetti di integrazione ed assimilazione, analizzando i vari aspetti del problema (culturale, linguistico, simbolico, economico, ecc.) farei gia’ una scelta significativa. Se proponessi di affrontare la tematica per il periodo 1922-1943, per il periodo 1943-1945, per il periodo 1945-1972, o per il periodo 1972-1995 otterrei sicuramente, in base alla periodizzazione, seguendo la stessa metodologia scientifica, risultati completamente diversi, cosi’ come risultati diversi darebbe la stessa scelta tematica e la stessa periodizzazione applicata al territorio della Bassa Atesina o dell’alta Val Pusteria.

La storia contemporanea e’ caratterizzata, anche conseguentemente al ruolo sempre piu’ importante dei mass media, da una progressiva accelerazione degli eventi che sembra impedire la possibilita’ di una riflessione relativa agli avvenimenti comunicati in tempo reale ed immediatamente sostituiti da altri avvenimenti ed altre informazioni. In queste situazioni il senso comune della storia, prodotto molto spesso solamente da nozioni scolastiche superficiali ed informazioni giornalistiche non meno superficiali e spesso tendenti al sensazionalismo, gioca un ruolo fondamentale nella costruzione di identita’ personali e collettive.

Nel considerare il rapporto tra passato e presente si deve prendere atto che i processi politici e sociali hanno durate e ricadute diverse fra i molteplici gruppi che caratterizzano anche territori molto piccoli e che l’accelerazione dei fenomeni sociali cambia continuamente, ad un ritmo sempre piu’ intenso, le caratteristiche dei territori e delle popolazioni.

Per evitare giudizi sommari la conoscenza della storia deve caratterizzare il lavoro quotidiano di tutte le persone impegnate nella formazione dell’opinione pubblica, dagli insegnanti ai giornalisti. L’importanza della conoscenza della particolarissima storia locale risulta evidente non solamente verificando gli avvenimenti storici, ma semplicemente analizzando l’evidente divisione etnica del lavoro e del territorio regionale/provinciale e le sue caratteristiche sociologiche, soprattutto ma non esclusivamente nel rapporto citta’/campagna. La storia locale non deve avere carattere sostitutivo, ma integrativo rispetto alla conoscenza della storia dello stato e del sistema/mondo nel quale questo territorio era ed e’ inserito, ed e’ compito di chi forma l’opinione pubblica cercare l’integrazione tra le culture, non lo scontro o l’assimilazione dei gruppi nazionalmente o localmente minoritari.

Per quanto riguarda la memoria collettiva dell’Alto Adige/Suedtirol i diversi gruppi hanno memorie diverse, diversamente costruite ed alimentate.

Il gruppo sudtirolese e’ estremamente radicato in questo territorio, con una cultura storica in cui alcuni momenti luminosi (la lotta di Andreas Hofer, la resistenza ai violenti e goffi tentativi italiani di snazionalizzazione, ecc.) si alternano a veri e propri buchi neri riguardanti alcuni periodi ed alcune tematiche storiografiche volutamente ignorate, creando delle radici estremamente robuste ma estremamente rigide.

I sudtirolesi hanno costruito con successo il mito/immagine di se stessi come vittime del fascismo e del nazismo. Con questa immagine hanno raggiunto ottime posizioni politiche e, non a caso, solamente dopo averle raggiunte si e’ diffusa una nuova storiografia che ha potuto rileggere il Novecento vedendo anche l’adesione opportunistica di alcuni sudtirolesi al fascismo e l’adesione entusiastica della maggior parte dei sudtirolesi al nazismo.

Nel gruppo altoatesino invece la conoscenza del proprio comune passato, che non raggiunge neppure il secolo di vita, e’ estremamente limitata, cosi’ come e’ limitata la conoscenza della geografia e delle caratteristiche sociologiche del territorio, della lingua parlata dalla maggior parte della popolazione, determinando quindi delle radici estremamente esili.

I grossi sconvolgimenti nel settore della struttura demografica, dovuti ad una inevitabile immigrazione sempre piu’ massiccia, nel settore dell’economia, dovuti a pesanti ristrutturazioni, ed altri fenomeni sociologici non potranno sicuramente essere affrontati bene ne’ da parte di chi ha radici troppo robuste e rigide ne’ da parte di chi ha radici troppo esili.

Gli altoatesini, che per decenni hanno continuato a considerarsi lo Staatsvolk, senza preoccuparsi di conoscere la storia locale e perfino la lingua locale, solamente ultimamente hanno iniziato a cercare di conoscere la realta’ locale, della quale oramai fanno parte da un secolo. Il partito che piu’ li rappresenta fino a pochi anni orsono urlava “siamo in Italia, parliamo l’italiano, non il tedesco” e, in vista della provincializzazione della scuola, sosteneva che gli altoatesini sarebbero stati obbligati a studiare Hofer al posto di Garibaldi, purtroppo validati dalla assurda proposta del dicembre 1997, in seguito ritirata a furor di popolo, della Sovrintendenza scolastica di centrare gli esami della maturita’ del 1998 sulla storia locale al posto, non accanto, alla storia nazionale/generale.

Pur consapevole che spesso il potere politico ha utilizzato ed utilizza la storia e gli storici per promuovere operazioni culturali di regime, ritengo che la conoscenza della storia locale possa consentire a tutte le popolazioni che abitano il territorio, a prescindere dall’anzianita’ di residenza in provincia, di possedere gli strumenti culturali necessari per vivere e convivere bene.

Cosi’ come fino a pochi anni fa molti storici non ritenevano possibile parlare degli avvenimenti del XX secolo, ritenendoli ancora troppo caldi per poter essere trattati con il necessario distacco scientifico, qualcuno evidentemente si ritiene tuttora uno scienziato sociale al di sopra delle parti, dimenticando che nel settore della ricerca storica, ad esempio, si parla da anni della possibilita’ e necessita’ di studiare ed insegnare il presente come storia.

L’interesse per il passato e’ proporzionale ai progetti per il futuro: chi vive alla giornata, esistenzialmente o politicamente parlando, non ha alcun interesse a conoscere la storia, e questa mancanza di progettualita’ politica e di interesse per il passato purtroppo sembra essere una caratteristica nei nostri tempi.

La storia locale non deve essere utilizzata come un’arma nei confronti del nemico, ideologico o etnico che sia, ne’ per rafforzare inossidabili identita’, ideologiche, come negli anni settanta, o etniche, come nei progetti politicamente determinati di costruzione di identita’, padane o tirolesi che siano, ma per educare alla complessita’, in un processo di revisione continua delle identita’.

Cosi’ come gli storici, anche i manuali di storia sono sempre stati in rapporto dialettico con la loro realta’, essendone continuamente influenzati e a loro volta caratterizzando la realta’ sociale e culturale. Alla fine degli anni Sessanta e negli anni Settanta, anche conseguentemente ai movimenti politico-culturali dell’epoca, si svilupparono forti contestazioni ai manuali di storia che, come tutti gli altri libri di testo (anche i libri di “applicazioni tecniche” non erano/sono neutrali, proviamo a rileggerli ed a vedere i ruoli di genere che venivano proposti, ad esempio) erano stati scritti nei decenni precedenti. Allora vennero pubblicati degli “stupidari”, raccolte di citazioni semplicemente idiote contenute nei manuali diffusi all’epoca, che riproponevano una storia “ingessata”, vista solamente come la storia politica e diplomatica, senza altri problemi. In seguito si e’ passati giustamente alla storia “per problemi” (la parita’, la decolonizzazione, le classi sociali, ecc.) ed ora si propone anche lo studio della storia “come problema”, cercando quindi di evidenziare le molteplici scelte che sottendono il lavoro dello storico autore di manuali, che quasi sempre e’ un “grosso nome” della storiografia che in realta’ assembla tematiche (capitoli) realizzati da altri. La didattica della storia piu’ attenta propone di “portare la cucina in tavola”, facendo vedere quindi tutto il lavoro e tutti gli strumenti del “cuoco” (lo storico) e non solamente il piatto ben guarnito.

Oltre a questa denuncia sui contenuti di alcuni manuali, negli anni Settanta si sviluppo’ una polemica contro il manuale in quanto strumento di sintesi “precotta”, che impediva un insegnamento e un apprendimento partecipanti. Al manuale venne contrapposto il “laboratorio di didattica della storia”, nel quale insegnanti e studenti avrebbero dovuto simulare le tecniche della ricerca storica, cosa di per se’ molto interessante ma alquanto impegnativa e non sempre possibile, per una serie di caratteristiche del sistema scolastico italiano che, per questioni di tempo, dimensioni e “per carita’ di patria”, non vorrei affrontare ora.

Negli anni Ottanta sono stati pubblicati manuali di storia che cercavano di offrire la storia, la storiografia delle diverse impostazioni, i documenti (non solamente quelli scritti, ma anche quelli iconografici, ad esempio), bibliografie, ecc., ed ultimamente mi capita spesso di suggerire a chi si laurea elenchi di siti internet. Questi testi hanno raggiunto dimensioni notevoli – ma l’informatica ci consente di raccogliere decine di migliaia di pagine, fotografie, cinegiornali, registrazioni sonore, ecc. in un CD Rom – e spesso c’e’ il rischio che la maggior parte degli studenti ed una buona parte degli insegnanti si perda tra una valanga di argomenti, date, documenti ed altro. Gli insegnanti spesso sono ancora ossessionati dall’idea di dover svolgere tutto il programma = leggere tutto il manuale, ma gli esperti in didattica della storia ci ricordano, con una metafora che ancora una volta ci ricorda i piaceri della cucina, che il buongustaio al ristorante non sceglie ne’ l’intero menu’ ne’ il piatto piu’ grande, ma quello che gli sembra il migliore. I piatti migliori, per l’insegnante di storia, dovrebbero essere quelli piu’ formativi, che possono riguardare qualsiasi epoca, o quelli piu’ orientativi, che solitamente riguardano l’eta’ contemporanea, nella consapevolezza che esiste una molteplicita’ di argomenti, di fonti, di interpretazioni, e che internet e gli ipertesti, ad esempio, hanno riconfigurato il concetto di autore e di testo, moltiplicando i percorsi e gli accessi possibili.

Nei primi anni Ottanta l’allora assessore alla scuola e cultura in lingua tedesca dell’Alto Adige suggeri’ ai docenti di tagliare con le forbici o di incollare con la colla le pagine di un libro di testo di scienze per la scuola media, stampato in Baviera ed adottato in Sudtirolo, contenenti i riferimenti all’educazione sessuale, con disegni espliciti di organi genitali e la spiegazione di alcuni argomenti considerati tabu’ nel cattolicissimo Sudtirolo. Il bollettino sindacale della CGIL-Scuola intitolo’ ironicamente l’articolo di denuncia “Niente sesso, siamo tirolesi”. Ora che la scuola e’ stata provincializzata e che gli insegnanti sentono frequentemente il “fiato pesante” dell’autorita’ provinciale, che nega l’autonomia scolastica in base all’autonomia provinciale, se passasse l’esempio della Regione Lazio potrebbero proporre manuali-gruviera, della serie “Niente nazismo, siamo sudtirolesi” o, in nome della par condicio, “Niente fascismo, siamo altoatesini”.

Chi ha avuto ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato ha dato.

Scordammoce o passato, chillo che e’ Stato e’ Stato. Simmo a Napoli, paisa’.

Chi ha avuto ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato ha dato.

Scordammoce o passato, chillo che e’ Provincia e’ Provincia. Wir sind in Bozen, paisa’.

Bolzano, 15 novembre 2000.

Giorgio Delle Donne

1 Editoriale pubblicato sull'”Alto Adige” il 16 novembre 2000.