Il sacro egoismo locale

 

Il sacro egoismo locale 1

Il dr. Paolucci, italiano non altoatesino, professionalmente preparato e bilingue, viene scelto tra altri come primario di chirurgia dell’Ospedale di Bolzano con un incarico quinquennale e, dopo sei mesi, gli viene tolto l’incarico per “incompatibilita’ ambientale”. Dopo una breve contrattazione, gli viene riconosciuta una buonuscita di 270 milioni ed una dichiarazione dalla quale risulta che la sua professionalita’ non e’ nemmeno messa in discussione.

Il dr. Guenther, tedesco non sudtirolese, professionalmente preparato e bilingue, viene scelto tra altri come direttore della Fondazione del Teatro di Bolzano con un incarico quinquennale e, dopo poche settimane, scopre che il Sudtirolo non e’ propriamente quell’esempio di territorio multiculturale che potrebbe essere, e che, quando qui si parla di ricchezza del territorio, si pensa alla pecunia piu’ che ai progetti culturali.

Il dr. Kronsteiner, tedesco non sudtirolese, professionalmente preparato e bilingue, viene scelto tra altri come direttore di Alto Adige Marketing, l’azienda di promozione turistica della Provincia di Bolzano, con un incarico triennale e, dopo pochi mesi, entra in rotta di collisione con alcuni yuppie indigeni cresciuti e viziati tra il liceo dei Francescani e l’entourage dell’SVP.

Nel secolo scorso, ma per essere precisi meno di dieci anno or sono, Bossi ha basato la propria fortuna politica anche combinando insieme due elementi oggettivi in un ragionamento soggettivo e sbagliato, ma efficace. Il mitico senatu’r ha fatto notare che la maggior parte dei dipendenti statali e’ di origine meridionale e che lo Stato e’ inefficiente (due elementi oggettivi) e che quindi la causa dell’inefficienza dello Stato era l’origine meridionale dei propri dipendenti e amministratori. Per dimostrare che Bossi ha ragione quando dice che i dipendenti statali sono meridionali perche’ il potere politico e’ in mano alle e’lite meridionali non e’ necessario andare a Roma, basta andare negli uffici delle amministrazioni comunali, provinciali e regionali di Bolzano e Trento. A Bolzano la spartizione dei posti e’ codificata dalla proporzionale ed il Patentino di bilinguismo puo’ essere un motivo che impedisce agli italiani provenienti dalle altre province di entrare nei ruoli locali, ma a Trento non esistono questi fattori, eppure e’ raro incontrare nelle amministrazioni pubbliche locali, soprattutto a livelli dirigenziali, italiani non trentini, a dimostrazione che le e’lite politiche si circondano di funzionari scelti in base alla fiducia piu’ che al tanto declamato merito, e che il pubblico impiego viene sempre considerato una buona base elettorale. Per quanto riguarda l’assenteismo una recente inchiesta del “Sole 24 ore” ha dimostrato che il Comune di Trento, ad esempio, non ha niente da imparare o da insegnare alle amministrazioni meridionali, alla faccia dello slogan dell’Azienda di promozione turistica del Trentino che, all’epoca di Malossini (1990 d. C. circa) diceva: “Il Trentino: l’Italia come dovrebbe essere”, ma forse lo slogan era stato elaborato da un creativo postsituazionista con doti di preveggente, che aveva previsto tangentopoli e il destino dell’allora presidente della Giunta provinciale trentina, arrestato pochi mesi dopo.

Nel secolo scorso, ma per essere precisi meno di dieci anno or sono, quando gli ex neofascisti ora neoautonomisti di Alleanza Nazionale raccoglievano le firme contro la proporzionale ed urlavano “Siamo in Italia, parliamo l’italiano”, crescendo in questo modo generazioni di altoatesini stupidamente ed orgogliosamente monolingui, il senatore SVP Ferrari, che come la maggior parte dei sudtirolesi di origine trentina era tra i piu’ duri nel ricordare l’importanza della difesa etnica, affermo’ candidamente, in una polemica seguita ad uno dei suoi numerosi blitz parlamentari con il quale aveva cercato di estendere l’obbligo del bilinguismo, che il Patentino di bilinguismo, tanto malvisto e poco diffuso all’epoca tra gli altoatesini, si sarebbe trasformato in uno strumento di difesa per gli altoatesini nei confronti della concorrenza nel mercato del lavoro rispetto agli italiani.

Nel secolo scorso, ma per essere precisi meno di tre anno or sono, dopo anni di centralismo statale, essendo passate le competenze ed il centralismo alla Provincia, la Sovrintendeza scolastica di Bolzano ha istituito commissioni di lavoro analoghe e spesso identiche ad altre gia’ esistenti presso l’Istituto Pedagogico, coordinate da insegnanti scelti per chiamata diretta, che in seguito divengono improvvisamente ispettori, senza avere svolto alcun concorso. Gli altri attendono ossequiosamente il proprio turno.

Conseguentemente alla provincializzazione della scuola il Patentino di bilinguismo rilasciato da un funzionario dell’Autonome Provinz Bozen vale, per la compilazione delle graduatorie per gli aspiranti all’insegnamento, piu’ di una laurea rilasciata dal rettore di Oxford o di un dottorato rilasciato dal rettore di Cambridge. I giovani laureati e spesso bilaureati e/o in possesso di un dottorato, provenienti dalle altre regioni d’Italia, che giungono nell’atrio della Sovrintendenza, vengono guardati con sussiego dagli indigeni altoatesini, laureati e bilingui patentati, che si sentono superiori degli italiani immigrati, ma evidentemente meno fortunati dei colleghi sudtirolesi, i quali, fino agli anni Ottanta del secolo scorso, potevano accedere ai ruoli dell’insegnamento anche senza laurea, perche’ il fascismo aveva chiuso le scuole tedesche dell’Alto Adige, sessanta anni prima.

Il padrone del maso in una recente intervista ha dichiarato che l’Universita’, che il suo partito non ha voluto per 50 anni ed ha istituito solamente nel momento in cui era indiscutibile il suo controllo da parte del potere politico locale, non deve svolgere attivita’ di ricerca, ma solamente di didattica, mentre la ricerca deve essere svolta solamente dall’Accademia Europea, voluta da Lui(s) e dal suo partito anche per impressionare favorevolmente i giornalisti stranieri che non hanno il tempo o la voglia di andare a cercare e fotografare le scuole con i cortili etnicamente separati dal filo spinato.

A parte ogni considerazione sulla separazione tra attivita’ di ricerca ed attivita’ didattica, che divertirebbe molto se raccontata nel mondo accademico extraprovinciale, il fatto di pagare, anche molto bene, i docenti purche’ vengano da fuori e non si fermino nel territorio oltre le loro ore di lezione e di ricevimento, e’ esattamente l’opposto della scelta di Kessler degli anni sessanta e di Prodi degli anni settanta di incentivare con tutti i mezzi la residenzialita’ dei docenti e degli studenti della allora nascente universita’ trentina, scelta che si e’ rivelata essere vincente nella prospettiva di uno sviluppo culturale del territorio e dell’universita’ che, altrimenti, sarebbe rimasta una piccola sede periferica.

Ai tempi della formazione degli stati nazionali e del tentativo di far corrispondere uno stato ad ogni nazionalita’, costruendo forti identita’ nazionali utilizzando soprattutto la lingua, la storia, la geografia ed una serie non indifferente di altri elementi, si parlava anche di “sacro egoismo nazionale”. In questi primi anni del 21° secolo gli etnofederalisti della nostra Provincia, ma forse potrei dire anche della nostra Regione, sembrano riproporre in scala 1:100 (o 1:20) la stessa logica, prospettando piu’ o meno esplicitamente un “sacro egoismo locale”.

La contraddizione dei liberali ottocenteschi che rivendicavano la piena liberta’ di circolazione per le merci, purche’ fossero le loro, ma impedivano di fatto la libera concorrenza con forme di protezionismo piu’ o meno palese in nome del “sacro egoismo nazionale” fu uno dei principali elementi che determinarono lo scoppio della Grande Guerra.

Le “piccole patrie monoetniche” – o anche plurietniche, purche’ fondate in nome del passato e non del presente, come l’Euregio – ipotizzate dai fanatici etnofederalisti, hanno portato nel secolo scorso, ma per essere precisi meno di dieci anno or sono, a guerre nazionali, appena oltre i nostri “sacri confini”, impensabili fino a pochi anni prima.

Bolzano, 15 settembre 2000.

Giorgio Delle Donne

1 Editoriale pubblicato sull'”Alto Adige” il 16 settembre 2000.