Alpini & bambini

Alpini & bambini 1

Bertolt Brecht ci ammoniva dicendo “Di nulla sia detto: ‘E’ naturale'” e lo storico Braudel, che e’ morto senza avere l’opportunita’ di leggere la mozione di Storace, nei seminari che organizzava nei campi di concentramento ricordava che non c’e’ comportamento umano che si sviluppi all’infuori dalla societa’ in cui si manifesta e quindi non c’e’ comportamento umano che non sia influenzato dalla storia e dalla politica, mentre raramente il comportamento umano individuale riesce a condizionare la societa’.

Anche la demografia storica, scienza sviluppatasi insieme alla statistica ed alla storia, nello scorso secolo si e’ lasciata fortemente condizionare da queste concezioni che hanno influenzato anche i geografi (potrebbero essere l’oggetto della prossima campagna censoria), che fino all’Ottocento credevano di descrivere oggettivamente la realta’, mentre in seguito si sono resi conto che, descrivendola, contribuivano a crearla. Per questo motivo i demografi negli ultimi cento anni, pur non avendo buttato via la calcolatrice, utilizzano anche tesi interpretative di storia, geografia, sociologia. A forza di affinare gli strumenti si sono resi conto che la suddivisione ottocentesca tra “saldo naturale” e “saldo migratorio” era alquanto fuorviante. Fino agli anni Venti i demografi inserivano i dati relativi alle nascite, ai matrimoni ed alle morti sotto la voce “movimento naturale” ed i dati relativi alle emigrazioni ed alle immigrazioni sotto la voce “movimento migratorio”. In seguito si sono resi conto che la scelta di fare dei figli, ad esempio, non e’ avulsa dal contesto sociale in cui si vive, e non a caso la riproduzione della specie, nelle societa’ fortemente condizionate dallo scorrere delle stagioni, come quelle contadine, ha dei cicli chiaramente individuabili.

Lo studio di quello che era considerato il “movimento naturale” delle popolazioni non puo’ prescindere, oltre che dalle diverse mentalita’, dovute a culture diverse, anche da fattori molto concreti, come le opportunita’ di avere un lavoro o una abitazione, o di sentirsi appartenere al gruppo localmente dominante, come potevano essere gli altoatesini durante il ventennio fascista o i sudtirolesi nel ventennio della “piena autonomia”, quella garantita al limone, spremuto fino all’ultima goccia.

Discorso analogo vale per i movimenti migratori. Quando si va oltre l’aspetto quantitativo e si analizza il dato qualitativo ci si rende conto che ad emigrare sono quasi sempre le fasce piu’ alte e le fasce piu’ basse del mercato del lavoro: solitamente emigra chi ha una professionalita’ troppo alta per un mercato del lavoro locale e chi non ha nulla da perdere. Anche nella nostra regione c’era chi, alla fine dell’Ottocento, emigrava per motivi di studio e si formava/si fermava a Vienna, Innsbruck, Padova o Pavia e c’erano migliaia di persone che emigravano all’interno della regione tirolese (pensiamo ai primi nuclei di trentini nella Bassa Atesina o nel Vorarlberg, che nel corso di due generazioni diventavano tedeschi) o all’estero, a volte oltre oceano. Questo fiume di disperati scorreva ancora negli anni Cinquanta del Novecento, con migliaia di trentini che emigravano in Cile e di sudtirolesi che emigravano in Austria o in Germania.

Queste migrazioni sono sempre state condizionate da scelte politiche delle amministrazioni pubbliche, che a volte incentivavano queste correnti, come e’ accaduto da parte dello Stato italiano all’epoca del fascismo e della prima autonomia, che ha favorito l’immigrazione in Alto Adige per stravolgere gli equilibri etnici territoriali dopo il fallimento dei tentativi di snazionalizzazione dei sudtirolesi, o da parte della Regione Trentino-Alto Adige, che ha favorito l’emigrazione dei trentini in Cile negli anni Cinquanta, o da parte dell’Autonome Provinz Bozen, che ha favorito il ritorno dei sudtirolesi optanti negli anni Cinquanta ed ancora oggi riserva un trattamento diverso, nel caso dell’assegnazione dei punteggi per l’edilizia sociale, ai sudtirolesi che sono emigrati temporaneamente in Austria o in Germania rispetto agli altoatesini che sono emigrati temporaneamente in Italia.

Le diverse amministrazioni possono, per scelte politiche, incentivare o disincentivare queste correnti migratorie: pensiamo alla norma sui quattro anni di residenza per accedere al diritto elettorale o alla scelta dell’IPES di considerare, ai fini della suddivisione proporzionale delle risorse relative all’edilizia, sudtirolesi tutti gli immigranti provenienti dai paesi di lingua tedesca e di considerare altoatesini tutti gli immigranti provenienti da tutti gli altri paesi del mondo, isole comprese.

La scelta dello Stato di allocare alcune migliaia di militari in Alto Adige non e’ una scelta “piu’ politica” di molte scelte attuate dall’Autonome Provinz Bozen che hanno determinato scelte individuali e collettive tra gli altoatesini ed i sudtirolesi con conseguenze sugli equilibri numerici tra i gruppi che vivono in questa provincia.

La scelta dello Stato di trasformare l’esercito basato sulla leva obbligatoria in un esercito basato sui professionisti deriva dalla scelta di appartenere all’Europa. Mentre un tempo erano gli stati nazionali ad esercitare il potere con la spada, la toga e la zecca, ora e’/sara’ l’Europa ad imporre un esercito europeo, un diritto europeo, una moneta europea e gli Schuetzen potranno continuare ad avere un ruolo importante nel folclore locale, ma probabilmente non avranno mai competenze relative all’ordine pubblico, l’Autonome Provinz Bozen potra’ continuare a nominare politicamente i giudici del TAR, ma probabilmente non potra’ andare oltre quello che ha gia’ spremuto in base alla giusta richiesta di difesa delle minoranze nazionali, ed il Tirolino coniato nella zecca di Merano rimarra’ un argomento di dissertazione per gli studiosi di numismatica medievale, ma probabilmente non diventera’ la nuova moneta europea.

Le regioni intese come entita’ territoriali che guardano al presente ed al futuro possono essere un utile strumento di integrazione europea, muoversi nella globalizzazione piu’ agilmente degli stati nazionali ed essere piu’ vicini elle esigenze delle popolazioni; le piccole patrie monoetniche – che esistono solamente nella fantasia dei paranoici, ma non esistono piu’ nella realta’ – che guardano continuamente al passato possono innescare meccanismi devastanti.

Bolzano, 9 dicembre 2000.

Giorgio Delle Donne

1 Editoriale pubblicato sull'”Alto Adige” il 10 dicembre 2000.