Libro di Viola

Il disagio di un amico di Viola 1

Nel resoconto della presentazione del libro di Romano Viola, Il disagio di un autonomista, il giornalista faceva il nome dei tre italiani presenti in sala, definendoli “quasi affini a lui”. In realta’ il numero degli italiani era almeno il doppio, perche’ quando i valori assoluti sono minimi e’ facile sbagliare clamorosamente le percentuali. Io ero una di queste “meno di dieci” persone, per testimoniargli l’amicizia e la stima personale che provo per lui e per pochi altri personaggi del teatrino politico locale.

Poche ore prima mi trovavo ad Innsbruck, al Ferdinandeum, per una riunione di lavoro relativa ad un progetto di informatizzazione di fonti storiche del Tirolo, insieme a storici, funzionari provinciali e bibliotecari trentini, sudtirolesi, altoatesini e nordtirolesi. Alla luce delle competenze e dei finanziamenti delle tre province del Tirolo storico i funzionari nordtirolesi hanno scherzosamente affermato, in un momento informale postprandiale, che per certi aspetti e’ da considerarsi un peccato che l’Italia si sia fermata al Brennero nel 1918.

Il giorno dopo ero al bar di una mia amica, perennemente preoccupata per i percorsi scolastici incerti della figlia sedicenne, la quale ha ripreso a frequentare la scuola anche perche’ stimolata dall’insegnante di filosofia, del quale non ricordava il nome. La madre, commentando le opinioni di Viola riportate negli articoli del giornale e conoscendo le mie opinioni, ha cercato di provocarmi, definendo Viola un venduto ai tedeschi, opinione condivisa anche dalla figlia. Io ho ripetuto loro che Viola non e’ un venduto, e che le cose che dice le dice “a gratis”. Quale lo stupore della figlia nel vedere, dalla fotografia pubblicata nel giornale, che lo stimato insegnante ed il disprezzato politico erano la stessa persona.

Ieri ho incontrato una cara amica, ex militante di sinistra, che, ritenendo giustamente la sinistra incapace di difendere gli interessi dei proletari italiani, ha deciso assurdamente di rinforzare non solamente l’elettorato, ma anche la militanza di Alleanza Nazionale. Solite battute sul servo sciocco dell’SVP, alle quali ho risposto che Viola ed AN hanno, nei confronti dell’SVP, lo stesso atteggiamento: solo che Viola non riesce a vedere i limiti e le colpe della gestione SVP dell’autonomia, dicendo sempre di si, mentre AN non riesce a vederne gli aspetti positivi, dicendo sempre di no, rendendo in questo modo entrambi poco credibili la propria proposta e la propria protesta, mentre una politica basata sui principi e sulle esperienze dovrebbe analizzare continuamente la realta’, quella passata come quella presente, e decidere conseguentemente alle analisi.

Ho spesso paragonato Viola a Superciuk, mitico personaggio dei fumetti di Alan Ford, partoriti negli anni settanta dalle vulcaniche menti di Magnus & Bunker. Superciuk era uno spazzino che, dopo avere lavorato per anni nei quartieri dei sottoproletari, lerci ed invivibili, viene improvvisamente trasferito nei quartieri dell’alta borghesia, pulitissimi e splendidi. Lo shock e’ tremendo e Superciuk si identifica con i borghesi, disprezzando i sottoproletari, trasformandosi in una sorta di Robin Hood al contrario che ruba ai poveri per dare ai ricchi, tramortendo i poveri pensionati con il suo alito da alcolizzato per dare il frutto delle sue rapine ai borghesi dei quartieri ben curati.

Penso che Viola non abbia mai rubato nemmeno una merendina ad un suo compagno di classe (avrebbe potuto scegliere tra il sindaco Salghetti o il sottosegretario Carpi), ma, dopo 35 anni di militanza nel PCI bolzanino – una sorta di Trabant guidata da mister Magoo -, ha conosciuto l’SVP, l’unico vero partito della provincia; il piu’ vecchio partito d’Italia, proprio perche’ non italiano; l’unico che non abbia avuto la necessita’ di cambiare il nome; un vero partito di lotta e di governo, che ha saputo gestire contemporaneamente il terrorismo e le trattative diplomatiche; che dopo avere lottato giustamente per una autonomia ha saputo anche gestirla alla grande, senza mai farsi beccare con le mani nel vaso della marmellata e che ora si pone anche il problema di gestirsi gli altoatesini, considerandoli, non senza qualche ragione, incapaci di cogestire l’autonomia, ed e’ rimasto fulminato da questo partito, non riuscendo a vederne i limiti e l’arroganza che a volte la caratterizza.

La proposta di Viola di una autonomia dinamica, che veda coinvolti anche gli altoatesini nella rivendicazione e nella gestione di sempre maggiori competenze, e’ l’unica prospettiva ragionevole per gli altoatesini. Peccato che a proporla sia una persona incapace di vedere tutta la realta’, anche di quelli che finalmente si definiscono autonomisti, magari per una comparazione con quello che avviene in Italia piu’ che per sincero spirito federalista. E’ possibile ed auspicabile anche parlare di autodeterminazione, ma non per rivendicare nuovi spostamenti di confini, ma per ribadire che in una democrazia ricca ed avanzata ogni soggetto, individuale e collettivo, puo’ rivendicare il diritto di scegliere, senza togliere contemporaneamente diritti ad altri. Il diritto di definire i luoghi nella propria lingua, senza togliere lo stesso diritto agli altri; di sperimentare forme di insegnamento autogestite, senza imporle agli altri, e purtroppo potrei continuare, ma non voglio correre il rischio di essere considerato un piagnone disagiato.

Se il senso comune e’ un sapere senza dubbi, la soggettivita’ e’ il principio che li rimette in gioco. Nella tensione tra soggettivita’ e senso comune si apre lo spazio dell’esperienza. Anche di quella politica.

Bolzano, 26 novembre 1999.

Giorgio Delle Donne

1 Editoriale pubblicato sull'”Alto Adige” il 28 novembre 1999.