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La sentinella dei sudtirolesi 1

Dopo l’annessione all’Italia del 1919, il governo liberale fino al 1922, la dittatura fascista fino al 1943 e l’occupazione/liberazione nazista fino al 1945, l’Alto Adige/Suedtirol venne liberato nel maggio del 1945.

Venne liberato e non si libero’, perche’ in questa provincia non vi fu una Resistenza quantitativamente e qualitativamente rilevante e del resto nemmeno vi erano stati i presupposti, visto che la popolazione sudtirolese aveva accolto i nazisti come liberatori e l’immigrazione della popolazione italiana era stata favorita dal fascismo.

Questo fatto condiziono’ pesantemente il primo periodo successivo alla Liberazione, caratterizzato anche da alcuni eccidi nazisti gratuiti svolti a Liberazione avvenuta, come quelli di Merano, Bolzano e Lasa, negli ultimi giorni di aprile e nei primi giorni del maggio 1945.

A parte i pochi sudtirolesi che avevano optato per l’Italia ed i pochi italiani che avevano lottato nella Resistenza, non vi erano altre persone con adeguati requisiti politici e morali in grado di riorganizzare la vita politica del territorio, che venne controllato dal governo militare alleato fino al dicembre del 1945.

Nel maggio del 1945 venne fondato il partito dell’SVP all’interno del quale, fino ai primi anni Cinquanta, prevalsero i moderati dableiber, mentre in seguito, con la crisi dello Statuto di autonomia dovuta ad un eccessivo centralismo regionale-trentino che porto’ al Los von Trient del 1957, prese il potere una nuova generazione di persone che si erano formate durante il fascismo ed il nazismo.

Gli italiani dell’Alto Adige, che allora per ovvi motivi non esprimevano ne’ una classe dirigente ne’ una societa’ civile, aderirono ai partiti nazionali esistenti e non riuscirono ad inserirsi a pieno titolo nelle trattative che portarono all’elaborazione dello Statuto di autonomia, sentendosi tutelati dallo Stato e dalla Regione.

Dopo l’Accordo di Parigi del 1946 che defini’ i confini dello Stato italiano garantendo una forma di autonomia a garanzia delle minoranze nazionali, negando la richiesta di autodecisione dei sudtirolesi, si sviluppo’ un acceso confronto politico che porto’ all’emanazione dello Statuto di autonomia, a carattere regionale.

Le trattative per il primo Statuto di autonomia vennero svolte fondamentalmente dai trentini e dai sudtirolesi. In Alto Adige molti italiani erano d’origine trentina, caratterizzati da una maggiore integrazione nel territorio dovuta ad una maggiore conoscenza del territorio, della sua storia, della sua lingua e da una mentalita’ simile a quella sudtirolese. Gli italiani di origine trentina all’interno della Democrazia Cristiana fondarono l’associazione Famiglia trentina, che esprimeva il sindaco di Bolzano e personaggi politicamente molto importanti. Piu’ tardi gli italiani, quelli delle vecchie province, con l’esclusione dei trentini, fondarono la Famiglia italiana. Il fondatore di questa Famiglia italiana fu il toscano Luigi Vilucchi, che era stato il segretario della Democrazia Cristiana.

Nel Trentino si sviluppo’ il movimento dell’ASAR, che riusci’ a raccogliere oltre 70.000 aderenti, tra tutte le forze politiche. I trentini avevano vissute le stesse esperienze storiche dei sudtirolesi, pur con l’importantissima differenza dei maldestri tentativi fascisti di snazionalizzazione e delle opzioni dei sudtirolesi, ma il regime aveva investito molto in Sudtirolo, per favorire l’immigrazione italiana, mentre non aveva fatto altrettanto nel Trentino. Forte era quindi il rimpianto dell’amministrazione austriaca e la richiesta di una vera autonomia da Roma, cosi’ distante geograficamente, politicamente e culturalmente.

Fu facile quindi per De Gasperi, pur con l’opposizione dei sudtirolesi, allargare il quadro di riferimento dell’autonomia prevista dall’Accordo di Parigi all’intera regione, offrendo l’autonomia anche al Trentino e ponendosi come sentinella nei confronti dei sudtirolesi e difensori degli equilibri etnici della regione, complessivamente favorevoli anche agli altoatesini di lingua italiana.

Lo Statuto di autonomia del 1948, passato alla storia come Il primo statuto, venne elaborato contemporaneamente ai lavori dell’Assemblea costituente, e risenti’ del dibattito politico complessivo dell’epoca riguardante le autonomie speciali e quelle regionali, attuate 20 anni piu’ tardi, e l’atteggiamento dell’opinione pubblica italiana nei confronti delle popolazioni di lingua tedesca.

Subi’to dai sudtirolesi, che avrebbero voluto l’autodeterminazione, e non voluto dagli altoatesini, che politicamente si sentivano tutelati dallo Stato, il Primo statuto venne gestito all’epoca di Odorizzi – che fu anche l’epoca della Guerra fredda e dell’estromissione delle sinistre dalle responsabilita’ di governo – con una logica centralistica/regionale/trentina e quindi con i sudtirolesi come gruppo minoritario, che oggettivamente rischiava l’assimilazione, senza la piena applicazione dell’articolo 14 che prevedeva l’esercizio dell’autonomia da parte della Regione anche attraverso deleghe alle due Province.

Ne’ il Primo statuto, che nella sua attuazione pratica ha negato le autonomie provinciali e di fatto non ha concesso il pieno autogoverno delle minoranze nazionali, ne’ il Secondo statuto, che nella sua attuazione pratica ha negato le autonomie comunali e non ha concesso la piena e paritaria compartecipazione degli altoatesini alla gestione dell’autonomia provinciale dell’Alto Adige, hanno creato i presupposti per quel sentimento di solidarieta’, senso civico di appartenenza e lealismo istituzionale che dovrebbero garantire i presupposti per un pieno utilizzo, su un piano di pari dignita’, delle potenzialita’ dell’autonomia. Le applicazioni quantomeno centraliste a livello regionale e provinciale, ed a volte revansciste, hanno purtroppo confermato la famosa affermazione di Mussolini secondo il quale le situazioni ed i problemi delle minoranze non si possono risolvere, ma solamente capovolgere.

Forse sarebbe il caso di imparare dalla storia che non e’ possibile chiedere autonomia dallo Stato senza concederla anche alle Province, chiedere autonomia dalla Regione senza concederla anche ai Comuni, chiedere che le minoranze siano considerate qualcosa di piu’ di un semplice fattore folcloristico e, una volta ottenuta l’autonomia in quanto minoranza, rivendicare solamente i rapporti numerici quando si e’ sicuri di essere maggioranza.

Forse era ed e’ un problema di mancanza di conoscenze storiche, di sensibilita’ o, piu’ banalmente, di democrazia.

Bolzano, 27 gennaio 1998.

Giorgio Delle Donne

1 Editoriale pubblicato sull'”Alto Adige” il 29 gennaio 1998.